“I Buddenbrook: decadenza di una famiglia” di Thomas Mann

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di Francesca Romana Corfidi

Dopo secoli di battaglie per la propria legittimazione, la classe borghese si affaccia al nuovo secolo, l’Ottocento, al massimo del suo potere. Infatti, questa, formatasi da un ramo della classe operaia, con la quale si era battuta contro la potenza aristocratica, inizia ad affermarsi nel corso del XIX secolo anche come classe politica, arrivando a competere, in fatto di ricchezza, con la stessa nobiltà. 

Lo spirito artistico nella borghesia ottocentesca: analisi del tema attraverso la lettura del romanzo

Nel mondo industrializzato dell’Ottocento, la “moderna” borghesia era formata da tutti quegli imprenditori che investivano capitali nell’iniziativa economica, ovvero i proprietari di aziende, i banchieri e gli imprenditori industriali. Come nuova classe detentrice di ricchezza, questa presto si affianca alle monarchie, alla chiesa e alla nobiltà come committente di opere d’arte, senza condividerne però gli ideali. Ciò creerà dei forti mutamenti all’interno della produzione artistica del secolo, che assumerà un’intonazione più realistica, legata alla concretezza delle cose. È proprio in tale momento che si afferma il genere del ritratto anche all’interno del nuovo ceto, insieme alle pitture di paesaggio che vanno ad arredare i salotti femminili e i quadri di argomento storico, destinati a quelli maschili. È necessario però precisare che dipinti e sculture, soprattutto se appartenenti ad artisti di una certa fama, sono segno di potere economico e di aggiornamento culturale: la borghesia vede nell’arte, quindi, prima di tutto un’occasione di promozione sociale, condannando invece l’animo artistico in sé. 

La moderna bourgeoisie, infatti, specialmente quella della Mitteleuropa, la quale ha alla base del suo agire l’influenza del pensiero luterano e calvinista, individua nella ricchezza generata dal lavoro il segno della grazia divina. È strettamente legata a questa condizione, infatti, la non-accettazione di tutto ciò che si discosti troppo dalle “cose materiali”, per citare Thomas Mann, come i sentimenti e, più largamente, tutto ciò che sia arte intesa come espressione d’animo e di libertà. 

Proprio all’opera di Mann possiamo rifarci per cercare di chiarire le dinamiche e i pensieri del tempo, a lui molto più vicino che a noi. 

L’autore affronta nei suoi molti libri più e più volte il tema del dissidio tra arte e ideale borghese, rendendolo uno dei protagonisti della sua lodabile produzione letteraria. 

Per approfondire la questione è sicuramente illuminante una lettura del romanzo “I Buddenbrook: decadenza di una famiglia”. Scritto infatti sul principiare del XX secolo, questo si pone come spartiacque tra due ere, dove ciò che è stato e che si credeva immortale si confronta con il presente, mutevole e imprevedibile. 

Quello che Mann racconta è, come dice il titolo stesso dell’opera, la caduta inarrestabile di una buona famiglia borghese la quale, raggiunto l’apice della sua grandezza intorno alla metà del XIX secolo, non riuscendo ad allinearsi ai cambiamenti imposti dal passare del tempo e dall’evolversi della società, si ritrova verso la fine dell’Ottocento divisa, decaduta e senza eredi. È all’interno di questo nucleo famigliare che troviamo delle figure-simbolo rappresentative della loro epoca: si distinguono, in particolar modo, Thomas, Gerda e il piccolo Hanno. 

Thomas è senz’altro colui che meglio incarna lo spirito borghese. È un perfetto uomo d’affari, dedica anima e corpo al lavoro, senza lasciare spazio per nulla che non abbia un evidente effetto positivo sulla sua figura nella società. Rifiuta tutto ciò che non sia pragmatismo e non si rifaccia alla storia della propria famiglia, tenuta in vita attraverso un quaderno costantemente aggiornato, alla ricerca spasmodica di costruire un passato nobile al quale guardare e del quale poter parlare. E sono proprio queste idee che Tom riprende dal padre, il quale, ad esempio, in una lettera indirizzata a sua figlia Antonie scrive: «non siamo (…) nati per quella, che con occhi miopi reputiamo la nostra piccola felicità personale, perché non siamo creature sciolte, indipendenti e autonome, ma anelli di una catena e non saremmo immaginabili come siamo senza la serie di coloro che ci hanno preceduto e indicato la strada». 

Tom, così intransigente, arriva a rifiutare il carattere del fratello Christian nonché quello del suo unico figlio, Hanno, che, nato già nella seconda metà del secolo, si discosta del tutto dal pragmatismo paterno. 

Tuttavia, il personaggio stesso, poiché è essenzialmente, come già accennato, un simbolo, è destinato a mutare con il mutare del tempo narrativo, finendo con il rappresentare il cambiamento di un’intera classe sociale. È proprio nel penultimo quarto dell’Ottocento che persino la figura di Thomas vacilla: vacilla la voglia di affermarsi, la sicurezza in sé e nel proprio patrimonio e anche la decisione dei propositi, tutti elementi tipici della borghesia affaristica. Tom si trova così a confrontarsi con la paura della morte, con il suo animo che ha tenuto sedato per tutta la vita e con la consapevolezza di aver vissuto in un mondo falso, costruito interamente su ideali inconsistenti perché basati su un sistema sostanzialmente corrotto. Ci si avvia così verso il Novecento, verso il primo grande conflitto mondiale, frutto anche del baratto degli originali ideali borghesi con un’esistenza sostanziata da niente di più che gesti vuoti e ripetitivi, dall’ignoranza, dal perbenismo e dalla mancanza di senso critico. 

Quella stessa borghesia da classe rivoluzionaria si trasforma in classe reazionaria ostile al proletariato dal quale ha avuto origine. 

Gerda, la moglie di Thomas, e Hanno, il suo figlioletto, sono decisamente, di contro, la rappresentazione dello spirito artistico, che mal si sposa con la gretta società mercantile. Infatti, Thomas sarà sempre riluttante nei confronti della passione per il violino della moglie, come lei rinfaccerà più volte al marito l’incapacità di apprezzare l’arte come mezzo di espressione e non come semplice sfoggio di ricchezza. Per citare: «Thomas, una volta per tutte, di musica quanto arte non ne capirai mai nulla, e per quanto intelligente, non capirai mai che è qualcosa di più che un passatempo da dopo pasto e un godimento per le orecchie. In musica ti sfugge il senso del volgare, che invece non ti manca altrove… ed è questo il criterio per comprendere l’arte». 

La stessa Gerda si trova costretta a ridurre lo spazio che prima dedicava all’esecuzione di brani musicali, anche lei oppressa da un’attenzione all’apparenza esasperante ed esasperata. L’inclinazione della moglie, tuttavia, diventa davvero inaccettabile per l’uomo quando si impossessa in modo totalitario della fanciullezza di Hanno. 

Hanno, seppur venuto a mancare precocemente, può essere definito l’unico non sconfitto del romanzo e, in un’ottica più ampia, dell’intera classe borghese. Rappresenta, come già detto, l’artista, che riesce ad opporsi in tutto e per tutto ad una realtà per lui troppo stretta. Ama il teatro e la musica (suona infatti il pianoforte) e, nonostante la disapprovazione del padre («se avesse almeno potuto eliminare e bandire la musica, che estraniava il ragazzo dalla vita pratica, non era certo di profitto per la sua salute e assorbiva d’altro canto le sue energie spirituali!»), riesce a crearsi un piccolo spazio in un mondo non represso. Hanno rappresenta, insomma, quella nuova generazione di intellettuali e di artisti che, come scrive Arnold Hauser (nella sua storia sociale dell’arte) «trae origine da quella borghese e che ha i suoi precursori in quell’avanguardia della borghesia che aveva presieduto al maturare della Rivoluzione Francese. (…) Il loro ideale di umanità è quello della persona libera, progressiva, sciolta da vincoli tradizionali. (…) L’emancipazione degli intellettuali può interpretarsi come un tentativo di attuare l’ideale dell’uomo completo, versatile, che integra in sé tutti i valori culturali.»

Hanno risulta il prodotto raffinato di una famiglia sviluppatasi intorno alla durezza del commercio, la quale, pur ad altissimo prezzo, ha raggiunto una dimensione più alta della vita. Si potrebbe paragonare al nostrano Zeno o, ancora più correttamente, a tutti quegli artisti che non hanno saputo reprimere la propria sensibilità, decidendo di vivere in un mondo improntato più sull’essere che sull’apparire. 

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