ARTIFICIAL HELL: ICY GAZE

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di Leila Costanzo 

L’area del IX cerchio della Divina Commedia di Dante Alighieri, viene descritta come un pavimento di durissimo ghiaccio, formato dallo stagnante Cocito che, nella mitologia greca, è uno dei cinque fiumi degli Inferi. Il nome può significare “lamento”, “pianto” o “fiume di ghiaccio”; come il letto di Malebolge, e pende verso il centro. Nel primo, che da Caino, uccisore del fratello, si chiama Caina, sono i traditori del proprio sangue; nel secondo che si dice Antenora, dal troiano Antenore che, secondo qualche antico storiografo, aiutò i Greci a furare il Palladio e a prendere Troia, stanno i traditori della patria e del proprio partito; nel terzo che dal traditore di Pompeo s’intitola Tolomea, i traditori degli amici: nel quarto finalmente, chiamato Giudecca da Giuda coloro che tradirono i loro benefattori e signori. In questo canto si parla di vari traditori della Caina e d’alcuni altri dell’Antenora, che a Dante sono manifestati mentre attraversa la ghiaccia avviandosi al centro. 

Tra le più conosciute ed apprezzate illustrazioni del capolavoro dantesco, sono sicuramente le tavole del noto pittore ed incisore francese Gustave Doré (Strasburgo, 6 gennaio 1832 – Parigi, 23 gennaio 1883). 

Le tavole, in bianco e nero, della Commedia sono all’unanimità considerate dalla critica un perfetto connubio tra l’abilità di Doré e la vivida immaginazione visiva di Dante. Nonostante siano passati più di centosessant’anni dalla prima pubblicazione, le illustrazioni di Gustave Doré sono considerate a tutt’oggi, nell’immaginario collettivo, come la nostra visione della Divina Commedia.

Uno degli argomenti più controversi è l’utilizzo sempre più frequente dell’AI nell’campo dell’arte, che sta ridefinendo il concetto stesso di creativià artistica. Nello specifico vorrei esporre le mie considerazioni su come l’AI abbia creato delle immagini della Divina Commedia di Dante prendendo spunto da immagini già esistenti seguendo alcune parole chiave estrapolate dal testo dantesco.

«Passano quindi per la caina ed i traditori dei parenti, sepolti fino al mento nel ghiaccio»; queste sono le parole che Dante ha utilizzato per descrivere ciò che ha “visto” nel IX cerchio dell’inferno. Il luogo viene descritto come un lago ghiacciato e le anime dei dannati sono conficcate nel ghiaccio fino al collo, con la faccia rivolta verso il basso.

Dante vede più di mille visi di dannati con espressioni contorte e deformate dal gelo, o che hanno perso entrambe le orecchie a causa del freddo, che ghiaccia le lacrime dentro ai loro occhi fino a rinchiuderli, cosa che gli farà sempre ricordare quello spettacolo con ribrezzo.

In questo caso l’AI riesce a cogliere dei frammenti di un volto deturpato con occhi pieni di rabbia, cattiveria e fissi nel vuoto. 

Non è difficile cogliere una certa similitudine tra l’immagine sopracitata e l’opera di Pablo Picasso con in faccia la morte, nell’autoritratto del 1972, realizzato un anno prima della sua scomparsa. Picasso rappresenta il proprio volto con pesanti blocchi geometrici, uno sguardo intenso e rassegnato al destino che l’attende. È possibile notare, tramite un’attenta analisi dell’opera, l’anima vulnerabile e spaventata del pittore, che si pone di fronte a ciò che rimane della propria vita di uomo mortale.

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