“Silenzio” di Shūsaku Endō e il tramonto del secolo cristiano in Giappone

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di Arianna Laureti

«Erano stati allievi di Ferreira, sotto la cui guida avevano studiato nell’antico monastero di Campolide. Per questi tre uomini, Francisco Garrpe, Juan de Santa Marta e Sebastião Rodrigues, era impossibile credere che il loro ammiratissimo maestro Ferreira, posto dinanzi all’eventualità di un glorioso martirio, avesse strisciato come un cane davanti all’infedele […]. Sarebbero andati in Giappone e avrebbero indagato di persona».

Nel prologo del romanzo Silenzio dell’autore giapponese Shūsaku Endō, pubblicato nel 1966, è contenuto il nucleo fondante del racconto del viaggio intrapreso dai padri gesuiti alla ricerca del loro maestro Cristóvão Ferreira, accusato di apostasia. Nel contempo, lo scrittore fornisce al lettore una testimonianza del tramonto della complessa avventura missionaria della Compagnia di Gesù nel Giappone del XVII secolo, iniziata con l’arrivo di Francesco Saverio nel 1549 e terminata nel 1639, anno della definitiva cacciata dei cristiani.

L’abiura di padre Cristóvão Ferreira, la cui notizia giunge in Europa nel 1633, getta nell’incredulità i confratelli. Tre di loro ottengono dunque il permesso di partire segretamente per il Giappone allo scopo di indagare sulla veridicità dell’episodio, ma a destinazione ne arriveranno solo due, Sebastião Rodrigues e Francisco Garrpe, poiché Juan de Santa Marta, gravemente malato, sarà costretto a interrompere il viaggio.

Attraverso una scelta stilistica che si avvale di un’alternanza fra le lettere del giovane padre Rodrigues e gli interventi in terza persona dell’autore stesso, vengono descritte la vita e le sofferenze dei cristiani clandestini, ossia i kakure kirishitan, sottoposti a persecuzioni e torture.

Il racconto delle vicissitudini di Sebastião Rodrigues e Francisco Garrpe è ambientato nel Giappone del 1639, ostile e proibito ai cristiani.

Infatti, a dei rapporti inizialmente cordiali fra le due culture, quella occidentale e quella orientale, improntati nei primi anni di evangelizzazione al rispetto e alla reciproca curiosità, si sostituisce con il passare degli anni un atteggiamento di sospetto nei confronti dell’opera missionaria. Il numero dei convertiti e dei battezzati aumenta e il potere centrale percepisce sempre più i missionari come una minaccia.

Già nel 1614 lo shōgun Tokugawa Hidetada aveva promulgato un editto con il quale imponeva a tutti i missionari di lasciare il paese e ordinava il rogo di tutte le immagini, i libri e le croci che rappresentavano la fede cristiana. Gli interrogatori di missionari e convertiti giapponesi arrestati prevedevano l’uso di pratiche volte a convertire forzatamente i prigionieri.

In questo contesto storico-religioso il ruolo dell’arte e del linguaggio figurativo rappresentati dalla riproduzione di opere devozionali dell’immaginario cristiano, è fondamentale. La trasmissione del messaggio evangelico passa attraverso non solo le parole, ma anche e soprattutto tramite le immagini sacre.

In una delle lettere di padre Sebastião Rodrigues ai suoi confratelli in Europa, viene riferito che i fedeli nascosti espongono segretamente in casa oggetti di arte cristiana davanti ai quali recitano le preghiere.

Il rapporto che i convertiti cristiani hanno con le immagini religiose diffuse dai padri missionari o prodotte dagli artisti locali formati nelle scuole dei gesuiti, assume in questi anni di persecuzioni il carattere di resistenza, identità e conservazione della fede.

Rinnegare da parte dei credenti l’importanza dell’immagine di Cristo o della Vergine Maria diventa la richiesta pressante da parte degli inquisitori giapponesi.

Padre Rodrigues assiste al triste spettacolo del calpestamento delle immagini religiose, in giapponese fumi-e: «i funzionari continuavano a insistere con i cristiani che calpestare il fumi-e era una pura formalità […] secondo gli ordini del magistrato, si doveva posare leggermente il piede sul fumi-e e poi si sarebbe stati rilasciati subito».

Lui stesso vi si trova davanti: «ora il fumi-e era ai suoi piedi. Una semplice lastra di rame fissata alla grigia asse di legno sporco sul quale le venature fanno pensare a piccole onde.

Davanti a lui il volto contorto di Cristo, incoronato di spine e le braccia sottili aperte».

I cristiani giapponesi catturati devono dunque accettare di calpestare pubblicamente le raffigurazioni di Cristo o della Vergine Maria per poter essere lasciati liberi.

Tali icone devozionali erano riprodotte su placche in metallo o in pietra e la profanazione pubblica aveva un fortissimo potere simbolico di disprezzo nei confronti della fede cristiana. Non era infrequente, tuttavia, che i cristiani si rifiutassero di disonorare le immagini sacre pur sapendo di andare incontro a terribili torture.

Padre Rodrigues racconta l’episodio di un missionario che, trascinato davanti a un fumi-e, esclama: «preferisco che mi venga tagliato il piede anziché calpestare questa immagine».

La fermezza, il coraggio e il senso del dovere permeano il codice etico dei samurai, il bushidō, che prevede il rispetto di tali valori fino al sacrificio della propria vita. Nella cultura nipponica questi concetti si fondono con l’esaltazione del martirio come viene concepito dalla dottrina cristiana dei padri gesuiti. Il romanzo è ricco di scene in cui i cristiani giapponesi affrontano le persecuzioni con coraggio, forti della loro fede in Dio e nella salvezza eterna.

Dal libro di Shūsaku Endō, Martin Scorsese ha tratto il suo film Silence, uscito nelle sale italiane nel 2017. Il regista rispetta fedelmente l’impostazione e i contenuti del romanzo, arricchendo la narrazione dell’avventura di padre Garrpe e di padre Rodrigues di rimandi artistici precisi. Ne sono esempio le scene che mostrano i contadini giapponesi raccolti in preghiera davanti all’immagine della Yuki no Santa Maria, dipinto del XVII secolo di autore giapponese ignoto, oggi conservato presso il Museo dei Ventisei Martiri a Nagasaki, e quelle degli interrogatori tramite fumi-e.

Nel silenzio cupo e ovattato di numerose scene del film si rileva l’importanza simbolica rappresentata dal titolo del romanzo. È un silenzio che ha numerose sfaccettature: il silenzio dei contadini che si rifiutano di pronunciare parole di abiura, il silenzio con cui i kakure kirishitan adorano le immagini devozionali, il silenzio di Dio. Padre Rodrigues, tormentato dai dubbi e dalla compassione che prova di fronte al dolore dei cristiani torturati, scrive: «Dietro il silenzio deprimente di questo mare, il silenzio di Dio… la sensazione che mentre gli uomini levano la loro voce angosciata Dio rimane silenzioso, a braccia conserte». In un altro passaggio si legge: «Signore tu taci. Continui a mantenere il tuo silenzio profondo in una vita come questa».

L’eterno dilemma del credente dilaniato dai dubbi di fronte al dolore e alla sofferenza, che quel Dio di misericordia lascia vengano inflitti al genere umano.

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