L’Arte di Joris-Karl Huysmans (1848 – 1907) in À rebours, tra spiritualità e simbolismo

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di Luisa Nieddu

I nuovi rapporti culturali che si innestano con la crisi del naturalismo letterario e l’avvio delle nuove poetiche decadenti confluiscono nell’aspirazione ad affermare il principio di autonomia dell’Arte da ogni forma estrinseca legata agli aspetti storicistici e teoretici, e al rapporto mimetico con la Natura. Tali istanze evocheranno una concezione inedita, nuova dell’Arte in quanto rappresentazione mentale che indulge al mondo sensibile, ponendo le basi di una moderna critica dell’arte. L’ampiezza di tale fenomeno culturale si concretizzò in un impegno a volgere verso un’unità unica tra le arti figurative, la musica, l’arte dei suoni, e le poetiche letterarie del tempo, in nome della stessa esperienza sensoriale del processo creativo, e della vita interiore dell’artista, senza dicotomia in quanto fenomeni prodotti dallo spirito umano. I nuovi rapporti culturali tra le diverse estetiche, legate all’intreccio delle sensazioni visive, olfattive e acustiche, porteranno a compimento l’atto creativo in linea con le liriche di primo Novecento del grande padre simbolista Charles Baudelaire (1821-1867). La forte correlazione tra la letteratura e le arti figurative si formalizzerà in particolare, nel principio sostanziale dell’ « Artificiel » quale rigetto dell’uniformità della Natura, secondo l’estetismo simbolista e spiritualista della nuova temperie culturale decadente di fin de siècle, intendendo l’opera d’arte non già come documento storico, ma come quintessenza dell’Artificio, nonché come il prodotto di sensazioni sublimate. Il nuovo clima culturale denuncerà nel contempo, una posizione critica dello stesso artista e del letterato, lontani ormai dai legami sociali, che si manifesterà nel rigetto della società borghese da cui sono esclusi, e nel forte orientamento verso l’artificialità, anelando a un modello di vita visionario in virtù della subordinazione della vita stessa all’Arte. Così nel 1880 nella Bièvre, pubblicata nei Croquis parisiens, Joris-Karl Huysmans (Parigi 1848-Parigi 1907) prenderà le distanze dal suo Naturalismo iniziale “La nature n’est interessant que débile et navrée”. E lo stesso dissenso rispetto all’annoso dibattito sul primato di “Natura sull’arte” venne ribattuto dallo scrittore nel secondo capito della capitale opera del Decadentismo francese, ed europeo, À Rebours, uscita a Parigi nel 1884, quando, inneggiando all’Artificio come “segno distintivo”, strumento superiore di conoscenza dell’uomo di genio, osservò per voce del protagonista Jean Floressas Des Esseintes: La nature a fait son temps ; elle a définitivement lassé, par la dégoûtante uniformité de ses paysages et de ses ciels. Il romanzo, uscito in Italia anche col titolo di “Controcorrente”, narra dunque la vicenda dell’aristocratico trentenne parigino, ultimo erede di una famiglia in decadenza, il quale mosso dal torpore dei ricordi di famiglia, con la madre che trascorreva le ore immobile nell’oscurità, e dallo sprezzo verso una normale vita borghese cittadina, decide di trasferirsi in un totale isolamento sociale e acustico, in un eremo ideale a Fontanay-aux-Roses alle porte di Parigi.

Huysmans, dopo trent’anni trascorsi come impiegato di sesta classe presso il ministero degli Interni francesi, ed una prolifica attività come critico d’arte per riviste e giornali, diede così vita ad un racconto di forte tensione autobiografica, attraverso un discorso indiretto libero, in cui descrive, con alta sottigliezza stilistica e concettuale, l’abiura dal mondo del giovane Des Esseintes eroso da una nevrosi dei sensi, quale personificazione di un misticismo profano legato all’estetismo decadente. Descritto “dall’indole scarsamente sentimentale e tutt’altro che candido d’animo”, dal fisico indebolito dall’endogamia, l’aristocratico protagonista, avendo provato tutte le sensazioni e sotto l’indelebile influenza di un’educazione gesuitica impressa sin dall’infanzia, decide lucidamente di nutrirsi di stimoli stranianti, olfatti, visivi, acustici. Pregno di un estetismo antiquariale, Des Esseintes inizia così a selezionare ossessivamente i cangiantismi più sottili degli arredi, circondandosi di profumi esotici, piante tropicali, fiori artificiali, oggetti fastosi fino al virtuosismo, arrivando pure a tempestare di gemme il carapace di una tartaruga, che morirà sotto lo stesso peso posticcio, per smorzare i toni argentati di un tappeto orientale. In questo vortice delirante, l’Arte pittorica pervade l’intera esperienza umana del giovane esteta, dove:il visibile si congiunge come prodotto feticizzante dell’Arte, alla mistica profana, non unicamente come dato formale e segno figurativo, ma come esso stesso simbolo, secondo la nota di Mario Praz (1896-1982), ispirandosi così ad “un  mondo che non anela all’armonia della Natura”, ma che si configura come un complesso di corrispondenze tra religione e misticismo, intendendo così le due sfere non principalmente come “purezza interiore o nettezza religiosa, ma come estraniazione e sublimazione dal reale”. Il saggista chiude così la propria riflessione con un acuto raffronto-interrogativo tra Huysmans e l’analogo estetismo perverso espresso da Luchino Visconti in “Rocco e i suoi fratelli”: “ma si tratta davvero di arte ?”.

Già profondamente attratto dal cattolicesimo mistico e dall’occultismo, nei suoi lunghi soggiorni presso i benedettini e trappisti, Huysmans scorgeva nell’arte medievale, con le sue grandi cattedrali e le sue vetrate, la possibile ri-soluzione della dualità arte-religione, scrivendo così su Des Esseintes, nel settimo capitolo del suo romanzo[…] per forza aveva dovuto guardare al mondo della religione, poiché la chiesa è stata la sola a custodire l’arte, la forma perduta dei secoli[…]. Lo scrittore immagina quindi che il proprio protagonista trascorresse intere notti nella contemplazione del celebre acquerello dell’Apparizione di Gustave Moreau (1826-1898) del 1875, di cui l’esteta possedeva anche il quadro ad olio di analogo soggetto, proveniente dalla Collezione di Mante e esposti al salone del 1876, e che cadesse in estasi dinnanzi all’immagine perturbante della demoniaca danzatrice, descritta col dito puntato di fronte la capo mozzato, sospeso nell’aria, del Giovanni Battista, immersa in’atmosfera surreale, entro un’architettura orientaleggiante evocativa dei mondi lontani di Gerard de Nerval (1808-1855). E in quello stato di esaltazione davanti alla visione biblica, Des Esseintes si sforzava di rintracciare le ascendenze stilistiche di quel misticismo pagano, dal Mantegna a Jacopo de Barbari, agli echi lontani di Leonardo da Vinci, fino all’immagine carnale che diede Rubens, che descrisse la principessa giudaica come una macellaia delle Fiandre. Ma la realtà era che Gustave Moreau non aveva né predecessori e né continuatori, e che mai prima d’ora, l’acquerello aveva raggiunto dei risvolti così alti. E la stessa potenza visionaria di Moreau, Des Esseintes la ritrovava nelle opere del collega simbolista Odillon Redon (1840-1916), (del quale Huysmans contribuì dal romanzo a immortalarne la grandezza), e in particolare in duecarboncinidella sua raccolta, che sembrava che “trascendevano i limiti della pittura, inventando un genere fantastico assai speciale, fatto di malattia e di delirio”. Ma ancora, tra le opere prescelte, il folle collezionista alimentava il proprio godimento nell’adorazione delle stampe “autentiche miniere di informazioni”, che aveva appeso ad ogni angolo della parete entro pregiate cornici di ebano, ed in particolare delle litografie dell’incisore secentesco olandese, scarsamente conosciuto in Francia, Jan Luyken (1649-1712). Calvinista fervente, imbevuto di fanatismo religioso e compositore di liriche mistiche che trasponeva in illustrazioni, Des Esseintes ritrovava all’interno dei paesaggi spettrali, pieni di pathos del litografo seicentesco, lo stesso stato di estasi e di estraneazione dei maestri simbolisti prediletti.

Ma la fuga dal mondo dell’aristocratico esteta fu ben presto destinata a fallire. Avendo spinto fino all’estremo i propri sensi, Jean Des Esseintes fu costretto a riconoscere la sconfitta che lo aveva portato alla malattia e a soffrire di deliri olfattivi, visivi, e auditivi: “ tra due giorni sarò a Parigi, coraggio, è finita davvero”. Incitato dal medico personale, l’insano dandy si ritroverà così a ripercorrere “a ritroso” il viaggio di ritorno verso Parigi e, quasi come un’anticipazione dell’assunto gattopardesco del “cambiare tutto per non cambiare nulla”, l’eroe huysmaniano si trovò costretto a doversi ricalare nella banalità di una vita borghese da cui aveva tentato di fuggire.

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