L’exposition Claude Monet del 1898. Secondo la stampa e il protagonista stesso  

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di Jacqueline Spaccini

Nel giugno del 1898 la galleria d’arte di Georges Petit, sita nell’ottavo arrondissement, in rue de Sèze, inaugura una mostra interamente dedicata a Claude Monet. Figlio di gallerista (suo padre François aveva aperto la propria galleria nel 1846, al n. 7 della rue Saint-Georges), Georges Petit si dedica da anni alla promozione delle opere dell’artista normanno, insieme con quelle di Sisley. 

Monet è d’altronde un artista riconosciuto, ben prima del suo scandaloso Impression, soleil levant (1872): già al Salon del 1866 aveva ricevuto un discreto successo di critica grazie al ritratto di Camille Doncieux ovvero La femme à la robe verte. In verità, il suo era stato un ripiego dell’ultimo momento, una volta resosi conto di non riuscire a terminare, a causa probabilmente delle dimensioni, il suo Déjeuner sur l’herbe, concepito come risposta all’omonima tela di Manet. 

Tornando al quadro ben accetto,  la piccola Camille (amante e modella e solo più tardi moglie) presta il suo incedere dubbioso alla dama del quadro, vestita come andava di moda all’epoca, con un abito verde – probabilmente un taffetas di seta[1] –  a spesse righe nere e verticali. In realtà, quel che dell’abito si vede è l’ampia gonna, poiché la parte superiore è coperta da una mantellina marrone bordata da una pelliccetta. Zola ne parlerà ancora nel suo Salon del 1868: la perizia della riproduzione della stoffa, restituisce – secondo il critico – il giovane pittore alla scuola del Naturalismo[2].

Monet ha iniziato dipingendo una veduta agreste di Rouelles, negli immediati dintorni di Le Havre. Ha 18 anni.  A Parigi, dov’è nato, fa il suo apprendistato nell’atelier di Charles Gleyre, in rue Vaugirard. Ha lasciato Le Havre dove risiede dal 1845, e la famiglia, cioè il padre e una zia che si prende cura di lui dalla morte della madre. A Parigi, smette di farsi chiamare Oscar e si presenta come Claude, suo secondo nome. Insieme con lui ci sono altri pittori destinati a entrare nella storia dell’Impressionismo: Sisley, Bazille, Renoir, Whistler. 

Nel 1863 mette fine al cattivo rapporto che intrattiene con il successore di Paul Laroche[3] e smette di frequentare l’atelier. Tuttavia, fino al 1872, i suoi dipinti (quasi tutti sparsi per il mondo, oltre che presenti al musée d’Orsay) sono tutto sommato simili a quelli di altri artisti, nella tematica (paesaggi marini della costa normanna, Étretat, vele sul mare, boschi, foreste e nature morte, personaggi riuniti per un picnic, strade innevate, mulini, case sul fiume) e nello stile, a cominciare dalla pittura en plein air:  si pensi alla Spiaggia di Trouville e a tele simili di Boudin[4], per esempio. 

La differenza la farà, come detto, Impression, soleil levant. Da lì, tutto cambia: la pennellata si fa meno realistica, meno precisa. Di certo, antiaccademica.

Quindi, nel giugno del 1898, la galleria di Petit espone le nuove opere del pittore. La personale è troppo importante perché Le Gaulois[5] rimanga indifferente: il giornale fa uscire un supplemento di due pagine dedicato al ritratto del talentuoso artista, all’epoca cinquantottenne. Sono oltrettuto tre  anni che Monet non espone: dall’epoca delle sue Cathédrales de Rouen, dipinte tra il 1892 e il 1894[6]. In questa mostra, ci sono altre Cathédrales, paesaggi innevati del monte Kolsaas e il fiordo di Christiania, in Norvegia, e ancora tele che catturano luoghi di Dieppe, della Senna a Giverny[7] e così via.  

Scrive il giornalista nel suo lungo articolo:

Grandi cieli si alzano dalle acque, risucchiando la massa oceanica: è uno scambio e una confusione che sfocia in un’unità mirabile. Nei quadri di Dieppe e di Pourville, come nei quadri del Bras de la Seine a Giverny, Claude Monet è riuscito a creare pittura dell’aria che mi sembra non sia mai stata raggiunta in questo modo. (…) Non è possibile prevedere le fasi evolutive di un artista del genere. Lui stesso, desideroso di comprendere e apprendere, ignora le scoperte che la natura gli offre. Ciò che oggi possiamo affermare senza timore è lo sviluppo logico, il continuo rinnovamento di questo grande artista. Nulla è perduto delle antiche qualità, la forza è ancora presente, con il dono della forma amplificata, visibile in tutte le opere di Monet. Il nuovo è una sorta di evaporazione delle cose, una scomparsa dei contorni, un delizioso contatto delle superfici con l’atmosfera[8].

       Per Arsène Alexandre, l’articolista, impressionismo è ormai un vecchio vocabolo, la limpidezza dell’atmosfera che traspare dal pennello di Monet, è stata – afferma – assai raramente raggiunta dopo Corot. Nelle tele di Monet circola l’aria, leggera e delicata, che inumidisce le foglie, che gioca negli anfratti delle scogliere, tuffandosi nelle acque tranquille della Senna a Giverny[9]

In un’intervista rilasciata da Monet a François Thiébault-Sisson[10], in occasione della personale di alcuni suoi quadri presso le Galeries Durand-Ruel di rue Laffitte per l’Esposizione Universale di Parigi del 1900, l’artista si racconta, dilungandosi sulla sua adolescenza, affermando di essere stato un vero scavezzacollo, un ribelle sempre e comunque. 

Viene poi una parte interessante in cui racconta quali siano stati i suoi rapporti con Eugène Boudin, prima di compiere vent’anni. Monet è un ragazzino che ha acquistato una piccola fama nella sua città a far caricature o meglio dei portraits-charge, vale a dire dei ritratti in cui il disegnatore evidenzia alcuni difetti del modello: un mento troppo pronunciato o quasi inesistente, una testa troppo grossa o troppo piccola, e così via. Arriva a farsi pagare venti franchi per ogni ritratto. 

Afferma inoltre con un certo autocompiacimento che,  nel 1855, all’età di quindici anni,  trovava le marine di Boudin disgustose e Boudin stesso (peraltro senza nemmeno conoscerlo) null’altro che un idiota per averle firmate, se non addirittura un coglione[11]. I motivi? L’artista originario di Honfleur è per lui troppo preciso, realista: nelle sue tele tutto  è secondo natura, e perciò limitandosi a riprodurre ciò che è reale, non può essere un vero artista. 

Ma ecco che inaspettatamente fa la conoscenza di Boudin, di questo «ometto ridicolo».  Viene a lui presentato come un giovane di belle speranze, abile nei ritratti caricaturali. Boudin si congratula con il ragazzo e lo esorta  «a vedere e a dipingere, disegnare (…) dei paesaggi. Sono così belli, il mare e i cieli, gli animali, la gente e gli alberi quali la natura li ha fatti con il loro carattere, la loro vera maniera d’essere, nella luce, nell’aria, quali essi sono»[12].

All’istante, Monet cambia la sua opinione sull’ometto ridicolo, giacché è sensibile ai complimenti e quindi prontamente disposto a ricredersi sull’artista tanto vituperato. Con l’avvento dell’estate, racconta, «Boudin, con inesauribile bontà, intraprese la mia educazione»[13]. Grazie all’altrui inesauribile bontà, il giovane Monet comincia ad apprezzare la natura. E a dipingere alla maniera di Boudin.

Tuttavia, lo scrupolo per il realismo, a costo di rappresentare la natura anche nella sua disarmonia, gli si ritorce contro quando, a vent’anni, approda all’atelier parigino di M. Gleyre. Costui è infatti contro la restituzione esatta della natura. In questo caso, umana. Monet riporta così l’altrui commento a un nudo di studio da lui eseguito: ׅ

Niente male, davvero niente male, questa roba, ma è troppo simile al modello. Davanti a lei c’è un omino tracagnotto e lei lo dipinge tracagnotto. Ha dei piedi enormi e lei li riporta tali e quali. È orrendo, tutto ciò. Quindi, giovanotto, si ricordi che quando si riproducono delle sembianze umane, occorre sempre tenere bene a mente l’antico. La natura, amico mio, è un’ottima  materia di studio, che non produce però nulla di interessante. Veda bene che quel che conta è lo stile[14].

Per chiudere con il resoconto del periodo precedente alla mostra personale del 1898, Monet si dilunga a parlare dei cattivi rapporti iniziali intrattenuti con il maestro da tutti riconosciuto, Manet, di otto anni più anziano. Il contrasto era nato durante il Salon del 1866, quando sotto un coro di ovazioni, all’amico di Baudelaire era stato attribuito il quadro  della Femme en vert[15]

Da quel momento, il maestro aveva sempre avuto a che ridire sull’arte del giovane Monet. Occorreranno due anni perché avvenga la riappacificazione, nel Café Guerbois, nel boulevard des Batignolles, in cui Manet aveva il suo atelier. Lì, si danno convegno per parlare, bere e fumare Fantin-Latour, Cézanne, Degas, il critico d’arte Duranty, il giornalista Émile Zola all’inizio della sua carriera di romanziere[16], Sisley, Bazille e Renoir che sono sempre al seguito di Monet: 

Nulla era più interessante di quelle discussioni, un perenne scontro di opinioni. Lì, restavamo con l’animo sospeso, ci incoraggiavamo nella ricerca sincera e disinteressata, facevamo scorta di entusiasmo che per lunghe settimane ci sosteneva fino alla realizzazione concreta e definitiva dell’idea. Ne uscivamo sempre meglio fortificati, con la volontà più ferma, il pensiero più nitido e chiaro[17].

Pagato il debito con Manet, dopo un accenno al conflitto franco-prussiano cui non parteciperà[18], d’altronde come molti altri, Monet chiude la sua autobiografia definendo il gallerista Paul Durand-Ruel come il «salvatore» degli impressionisti. L’ha frequentato a Londra, nella sua galleria d’arte di New Bond Streeet. A guerra conclusa, Durand-Ruel ospiterà la seconda mostra impressionista nella galleria parigina della rue Peletier, nel 1876. 

Poi, quando l’astro di Monet è ormai allo zenit,  vengono Georges Petit e François-Léon Boussod a promuovere la sua arte. Grazie anche a Whistler e a Cassat, lo stile di questi artisti spesso disprezzati sarà ricercato e le loro tele acquistate. Durand-Ruel, Boussod e Valladon aprono le loro gallerie a New York. Tutti vogliono comprare le tele degli impressionisti. Caillebotte lascia scritto nel suo testamento che le sue opere non debbono lasciare il territorio nazionale. Di Monet, sulle oltre mille tele dipinte, moltissime si trovano oltreoceano e comunque non in Francia. 

Un successo, il suo, arrivato presto e mantenuto per tutta la vita e a fronte di Frédéric Bazille (suo collega benefattore) che muore in guerra, nel Gâtinais, all’alba dei suoi trent’anni, Monet vive nell’agiatezza campagnola di Giverny dalla quale si accomiaterà quasi novantenne: è cieco e da quattro anni non dipinge più.

7.     Henri Fantin-Latour, Un atelier aux Batignolles, 1870, Paris, Musée d’Orsay

[1] Voyez la robe. Elle est souple et solide. Elle traîne mollement, elle vit, elle dit tout haut qui est cette femme. Ce n’est pas là une robe de poupée, un de ces chiffons de mousseline dont on habille les rêves, c’est de la bonne soie, point usée du tout […]», Cf. Émile Zola, Mon Salon, Paris, Librairie centrale, 1866, p. 52. (Guardate l’abito. È morbido e solido. Si trascina mollemente, vive, dice ad alta voce chi è questa donna. Non si tratta qui di un abito da favola, uno di quei panni di mussola con cui si confezionano i sogni, è seta buona, per nulla logora) Qualora non diversamente indicato, la traduzione in italiano è da intendersi a nostra cura.

[2] Quand on peut peindre ainsi une étoffe, on possède à fond son métier ; je le félicite encore davantage de savoir peindre, d’avoir un œil juste et franc, d’appartenir à la grande école des naturalistes (Quando si è in grado di dipingere una stoffa in questo modo, vuol dire che si conosce a fondo il proprio mestiere; mi congratulo con lui ancor di più di saper dipingere, di avere un occhio calibrato e schietto, di appartenere alla grande scuola dei naturalisti) cf. Émile Zola, Mon salon, 1868 https://www.cahiers-naturalistes.com/documents/zola-et-arts/ecrits-sur-lart-de-zola/mon-salon-1868-les-actualistes/

[3] Gleyre lo sostituisce nell’insegnamento all’École de Beaux-Arts  e ottiene anche il suo atelier, quello della rue Vaugirard, per l’appunto. 

[4] Eugène Boudin ha dipinto molti quadri con paesaggi marini, spiagge, vele e persone che trascorrono il loro tempo al mare vestite di tutto punto, come si usava all’epoca. Alcuni quadri dei due pittori si assomigliano così tanto che ultimamente è stata avanzata l’ipotesi (tutta da provare) che Sur la plage de Trouville () non sarebbe opera di Boudin, bensì di Monet. Cf. https://france3-regions.francetvinfo.fr/normandie/calvados/tableau-eugene-boudin-plage-trouville-pourrait-etre-claude-monet-1874680.html

[5] Le Gaulois è un giornale letterario e politico fondato nel 1868 e che nel 1929 confluirà nel ben più longevo Le Figaro

[6][6] Venti delle trenta Cattedrali e altre 29 opere di Monet furono presentate per la prima volta nel maggio del 1895 presso Paul Durand-Ruel, celeberrimo mercante d’arte, nelle sue due gallerie di 11, rue Le Peletier e di 16, rue Laffitte. Cézanne e Pissarro – che visitarono la mostra  – ne uscirono molto impressionati dalle Cattedrali. Cf. https://www.societe-cezanne.fr/2016/07/27/1895/

[7] Molti di questi dipinti si trovano lontano da Parigi. Per una conoscenza esaustiva dei quadri e della loro ubicazione, si veda https://fr.wikipedia.org/wiki/Liste_de_peintures_de_Claude_Monet

[8] De grands ciels se lèvent des eaux, aspirent la masse océanique : c’est un échange et une confusion qui aboutissent à l’admirable unité. Dans les toiles de Dieppe et de Pourville, comme dans les toiles du Bras de la Seine à Giverny (sic), Claude Monet est parvenu à créer une peinture de l’air qui me semble bien n’avoir jamais été ainsi atteinte. (…) On ne peut pas prévoir les phases d’évolution d’un tel artiste. Lui-même, acharné à comprendre et à apprendre, ignore les découvertes que lui ménage la nature. Ce que l’on peut affirmer sans crainte, aujourd’hui, c’est le développement logique, le renouvellement continu de ce grand artiste. Rien n’est perdu des qualités anciennes, la force est toujours présente, avec le don de la forme amplifiée, visible dans toutes les œuvres de Monet. Le nouveau, c’est une sorte d’évaporation des choses, un évanouissement des contours, un contact délicieux des surfaces avec l’atmosphère. Cit., p. 

[9] […] c’est une transparence, une limpidité d’atmosphère que la peinture a rarement atteinte après Corot. C’est de l’air qui circule dans ses toiles, de l’air vrai, léger, délicat, qui baigne les bouquets d’arbres, se joues dans les anfractuosités des falaises, caresse les eaux transparentes de la Seine à Giverny […].

[10] Claude Monet, Mon histoire (recueillie par Thiébault-Sisson, 1900). Paris, L’Échoppe (coll. Envois), 1998. François Thiébault-Soisson (1856-1944), critico d’arte, fu redattore del quotidiano Le Temps. Collaborò anche con Le Gaulois e il New York Herald. Sulle pagine del Temps, Monet ebbe modo di scrivere la sua autobiografia (anche se in varie lettere si raccomanderà di non pubblicare proprio tutto di quanto detto), raccolta in un’unica soluzione da L’Échoppe e pubblicata in questo libriccino nel 1998.

[11] Salaud, nel testo. Claude Monet, Mon histoirecit., p. 11. Ometto ridicolo, «bonhomme ridicule», si trova nella stessa pagina.

[12] Ibid., p. 12 « [apprenez] à voir et à peindre, dessinez, faites du paysage. C’est si beau, la mer et les ciels, les bêtes, les gens et les arbres tels que la nature les a faits, avec leur caractère, leur vraie manière d’être dans la lumière dans l’air, tels qu’ils sont». Anche nel testo originale, la frase di Boudin è virgolettata.

[13] Ibidem. « Boudin avec une inépuisable bonté, entreprit mon éducation ». Artistica, ovviamente. 

[14] Ibid., p. 17. «Pas mal ! pas mal du tout, cette affaire-là, mais c’est trop dans le caractère du modèle. Vous avez un bonhomme trapu : vous le peignez trapu. Il a des pieds énormes : vous les rendez tels quels. C’est très laid, tout ça. Rappelez-vous, donc, jeune homme, que, quand on exécute une figure, on doit toujours penser à l’antique. La nature, mon ami, c’est très bien comme élément d’étude, mais ça n’offre pas d’intérêt. Le style, voyez-vous, il n’y a que ça».

[15] Così la designa Monet.

[16] Nel 1867 ha pubblicato Thérèse Raquin.

[17] Claude Monet, Mon histoirecit., p. 22-23. «Rien de plus intéressant que ces causeries, avec leur choc d’opinions perpétuel. On s’y tenait l’esprit en haleine, on s’y encourageait à la recherche désintéressée et sincère, on y faisait des provisions d’enthousiasme qui, pendant des semaines et des semaines, vous soutenaient jusqu’à la mise en forme définitive de l’idée. On en sortait toujours mieux trempé, la volonté plus ferme, la pensée plus nette et plus claire». 

Il corsivo è nostro.

[18] Ripara in Inghilterra.

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