Caravaggio e il mito ovidiano di Narciso. I misteri nascosti nei capolavori del Merisi

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di Elena Bruno*

«È l’Arte a tenere in vita il genio di Caravaggio, non il racconto di un’esistenza sconvolta dagli eccessi, dai delitti e dalla fuga. Ciò che lo renderà sempre vivo è l’energia e il fascino della sua pittura, che ancora oggi irretisce il nostro sguardo e cela enigmi da svelare».

Con queste parole lo storico dell’arte Costantino D’Orazio conclude il suo saggio sullo stravagante personaggio di Caravaggio, noto pittore italiano nato nel 1571 e morto nel 1610.

Michelangelo Merisi da Caravaggio fu un immorale e un assassino tanto quanto fu un geniale rivoluzionario nel mondo dell’arte. Le sue opere sono studiate ancora oggi perché celano numerosissimi misteri così come la sua vita, che non fu per niente tranquilla e serena. 

L’intera carriera di Caravaggio si può riassumere con un solo obiettivo: la conquista dell’immortalità. E per diventare immortali non basta saper dipingere bene. L’arte è un modo per restare in vita anche dopo la morte attraverso un’immagine che resta impressa nella mente di quanti la ammirano. E Caravaggio lo sapeva bene. La sua passione e il suo scopo diventarono una vera e propria ossessione, che condizionò il suo lavoro, le sue relazioni interpersonali e i suoi comportamenti. Fin da piccolo, infatti, dimostrò l’intenzione di diventare un artista.

Una delle sue prime opere fu Narciso, realizzato tra il 1597 e il 1599 e conservato oggi nella Galleria Nazionale d’Arte Antica a Palazzo Barberini, a Roma. Il giovane protagonista è ritratto mentre si specchia nell’acqua di una fonte cercando un contatto fisico con il suo riflesso, di cui il fanciullo si è infatuato credendolo reale. È elegante: ha un corpetto decorato, larghe maniche bianche a sbuffo e indossa dei calzoni verde smeraldo. Come descritto nel racconto delle Metamorfosi di Ovidio (Libro III, vv. 339-510) , la fonte classica di riferimento per Caravaggio, il soggetto si trova in un luogo ombroso, quasi buio, nel quale emerge soltanto una stretta riva dello specchio d’acqua. In particolare, qui l’artista dipinge il momento che precede la scoperta dell’inganno: lo notiamo dal dettaglio della mano che si immerge nell’acqua, l’unico punto in cui il corpo e il suo doppio arrivano a toccarsi. In un primo momento la mano sembra che stia per raccogliere dell’acqua da bere e le labbra socchiuse per dissetarsi ma in realtà il giovane sta cercando di abbracciare la figura riflessa. 

La trasfigurazione di un episodio della mitologia in epoca moderna, con un’accentuata drammaticità, e la spontaneità della postura e dell’espressione di Narciso fanno pensare all’autografia del dipinto, che di recente è stata messa in dubbio.

Il Narciso di Caravaggio è delineato attraverso il netto contrasto tra luci e ombre; rivela lo stupore improvviso, la meraviglia e il coinvolgimento che prova nel vedere un’immagine così bella. In questo modo Michelangelo Merisi con i suoi personaggi coinvolge emotivamente gli osservatori e, dunque, sperimenta nuovi modi di linguaggio tecniche con disinvoltura e innovazione. Anche in quest’opera, infatti, Caravaggio si distingue per l’uso di un insolito schema compositivo, concepito quasi come una “carta da gioco” secondo la quale costruisce la figura: la parte inferiore è perfettamente speculare a quella superiore. Tuttavia l’immagine restituita dall’acqua non è esattamente identica a quella del giovane che vi si specchia. Si ipotizza che Caravaggio dipinse il Narciso prendendo se stesso come modello: la mano che sfiora l’acqua corrisponderebbe a quella del pittore che regge il pennello.


* Liceo classico E.Q. Visconti, Roma.

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