Il Barocco, arte di pace

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barocco prearsi

di Mario Prearsi

Nel 1997,  alla XLVII Biennale di Venezia Marina Abramovic si aggiudica il Leone d’Oro come migliore artista internazionale con la performance Balkan Baroque.

Nel suo libro Attraversare i muri, riporta le motivazioni che  l’hanno spinta a mettersi in gioco con la sua opera: «Il titolo della mia performance non si riferiva all’arte barocca, ma al barocchismo e alla follia della mentalità balcanica: il fatto che siamo crudeli e teneri , in grado di amare e di odiare appassionatamente in una volta sola…». Il riferimento esplicito è alla guerra dei Balcani che porta alla dissoluzione della ex Jugoslavia agli inizi degli anni Novanta.

abramovic balkan baroque

L’artista è seduta su una catasta di circa duemila ossa di mucca sanguinolente cerca di ripulirle e di farle tornare bianche; la sua operazione impossibile, che si svolge nel seminterrato del padiglione Italia, dura quattro giorni per sette ore al giorno, mentre la carne rimasta attaccata alle ossa imputridisce e, alle sue spalle, una installazione formata da tre schermi proietta immagini di interviste di sua madre che si copre gli occhi, di suo padre che brandisce una pistola e di lei vestita da “scienziato slavo” che racconta la storia del ratto-lupo.

L’analogia è con l’uomo che, messo in condizioni di sopravvivenza, perde i valori di fratellanza e uccide il proprio simile: «…cosa succede allora in una gabbia con quaranta ratti maschi, della stessa famiglia senza cibo? All’inizio non si uccidono tra loro, ma i denti continuano a crescere. Dopo un po’ sono costretti ad uccidere il più debole, e poi il più debole dei superstiti, e così via. L’acchiappa ratti aspetta che rimanga un solo ratto…».   

L’arte da sempre registra gli orrori della guerra, ma ci sono rappresentazioni artistiche come questa che riescono più delle altre a suggerire la partecipazione emotiva del pubblico.

Questa premessa consente di azzardare un accostamento improbabile della performance con l’espressione artistica dell’arte barocca, che segue le stesse dinamiche nel creare un rapporto di empatia tra spettatore e artista.

Se pensiamo al Barocco come unione delle arti e alla prima espressione di modernità con l’utilizzo dell’impatto visivo per creare una immersione sinestetica, allora si può trovare un nesso tra la pittura del russo Vasily Vereshchagin e l’arte espressa dalla Abramovic.

L’artista, “fotoreporter” di guerra ante litteram, riforma la rappresentazione delle battaglie con i temi sensazionali dei suoi quadri allo scopo di promuovere la pace attraverso l’immagine degli orrori della guerra. In uno dei suoi attualissimi grandi dipinti, L’apoteosi della guerra, Vereshchagin dipinge centinaia di teschi uno sopra l’altro, creando una sorta di monumento.

vereshchagin apoteosi guerra

Nell’angolo del dipinto, come protesta contro le atrocità della guerra scrive: «a tutti i conquistatori, passati, presenti e futuri».

Vereshchagin, testimone diretto della guerra russo-turca del 1877,  in una lettera inviata al suo amico collezionista P. Tretyakov, confida le sue impressioni sulla battaglia svolta sul suolo bulgaro per la conquista della città di Pleven: «Non riesco a esprimere il peso dell’impressione che si prova guardando per i campi di battaglia in Bulgaria. Specialmente le colline che circondano Plevna opprimono i ricordi. Esse sono masse solide di croci, monumenti, ancora croci e croci senza fine. Ovunque ci sono cumuli di frammenti di granate, ossa di soldati dimenticati durante la sepoltura…». 

Può essere plausibile l’associazione delle due opere, la performance della Abramovic e la pittura di Vereshchagin, al dipinto di Rubens Le conseguenze della guerra, un’opera del 1637, che alla situazione attuale risulta moderna e contingente.

rubens conseguenze guerra

La lettera con cui Rubens accompagnò l’opera inviata al suo committente, amico e pittore Justus Suttermans, esplicita l’iconografia della rappresentazione: «La principale figura è Marte che, lasciando il tempio di Giano aperto ( il quale in tempo di pace, secondo gli costumi romani, stava serrato) va, collo scudo e la spada insanguinata, minacciando ai popoli qualche gran ruina curandosi poco di Venere sua dama che si sforza con carezze ed abbraccimenti a ritenerlo…Quella matrona lugubre, vestita di negro e col velo stracciato e spogliata dalle sue gioie e d’ogni sorte di ornamento, è l’infelice Europa, la quale per tanti anni soffre le rapine, gli oltraggi e le miserie che sono tanto notorie ad ognuno che non occorre specificarle. La sua marca è quel globo, sostenuto da un angeletto o genio con la croce in cima, che denota l’orbe cristiano. Questo è quanto posso dire a Vostra Signoria, e mi par troppo, ché Vostra Signoria con la propria sagacità l’avrebbe facilmente penetrato».

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