Dino Buzzati critico d’arte

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di Mario Prearsi

Dino Buzzati ripeteva spesso di non essere un critico d’arte, bensì un giornalista interessato a scrivere anche di cose d’arte. Pure scrivendo di argomenti figurativi, la sua scrittura giornalistica rispecchiava la stessa ricerca di semplicità e chiarezza, contro una prosa per così dire ‘intercambiabile’, farcita di formule sterili e stereotipate.

Come pittore, Buzzati esprimeva una propria vena surrealista, cercando un senso di spaesamento che, come nel caso del suo Duomo di Milano, richiama le atmosfere sospese del suo più noto romanzo, Il deserto dei Tartari; d’altronde, le cime frastagliate che circondano piazza Duomo evocano le sue montagne bellunesi, da lui tante volte scalate. 

Come “critico”, Buzzati non arrivò a schierarsi del tutto apertamente contro l’astrattismo e l’informale che imperversava in quegli anni. Piuttosto mal sopportava l’allineamento del gusto ai dettami della moda e la critica condizionata dalla politica e dalle logiche di mercato.

Alla sua esperienza di giornalista, critico militante e artista fanno riferimento due dei suoi racconti, Battaglia notturna alla biennale di Venezia e Il critico d’arte. Il primo pubblicato il 5 ottobre del 1956 e il secondo il 20 luglio dello stesso anno, sulle pagine del Corriere della Sera. Questi racconti vennero poi inclusi nella raccolta Sessanta racconti edita nel 1958. Lo stesso anno, con questo libro, Buzzati vinse il premio Strega, superando in finale Tommaso Landolfi e Carlo Cassola.

In Battaglia notturna alla Biennale di Venezia e Il critico d’arte, Buzzati si serve dell’ironia per prendere di mira gli artisti contemporanei, che cercavano quasi di non farsi capire dal pubblico, non diversamente dai critici per via di quel loro modo di analizzare e recensire le opere.

Nel primo dei due racconti, Buzzati mette in ridicolo tale pittore di fantasia, di nome Ardente Prestinari, che soltanto da morto riesce a comprendere, come sub specie æternitatis, le dinamiche dell’arte contemporanea. In occasione della retrospettiva a lui dedicata alla Biennale di Venezia, l’artista dal regno dei cieli decide di scendere sulla terra. Le impressioni che raccoglie da parte dei visitatori della sua esposizione lo irritano alquanto. Una coppia che si sofferma davanti al quadro che ritrae Montmartre sembra non essere minimamente attratta dalla delicatezza dei toni, ma dal ricordo di quella trattoria dove si potevano mangiare le lumache, tra l’altro rimaste loro sullo stomaco.

Ma ciò che di più fa arrabbiare Prestinari è il commento fatto dal suo vecchio amico, venuto in visita alla mostra insieme ad un altro signore. I due criticano l’uso esagerato dei verdi e dei viola: «come vedi, anche i suoi quadri hanno del buono, o meglio avevano, è un vecchiume ormai questa pittura! Dio mio, quei verdi, quei viola, fanno legare i denti…»  È chiaro il riferimento agli impressionisti e ai loro colori accesi; ma in realtà Buzzati lancia una frecciata contro le avanguardie moderne: «Lo so ben io chi gli ha stravolto il cranio. Gli anti-figurativi, gli astrattisti, gli apostoli del verbo nuovo! Anche lui si è accodato alla masnada e si lascia menare per il naso…»

Così, eccolo scagliarsi contro tutti quei «coni, globi, matasse, tubi, vesciche» che, scesi dalle tele, lo attorniano sbeffeggiandolo. Qui il pensiero va ai tubi a neon di Fontana, oppure ai tubi da stufa di Jim Dine che naviga tra il New Dada e la Pop Art. Oppure alle combustioni di Burri e all’informale di Wols.

Vero che tanti maestri d’avanguardia non erano ancora compresi da tutti, come osservava uno degli interlocutori, ma “domani” invece tutto sarà diverso: «E c’era in quel “domani” una tale fede, una potenza così grande e misteriosa, che rintronò nel cuore del maestro».

«Però che bella parola ‘domani’», pensò Prestinari, che non poteva pronunciarla più. E per non lasciar vedere che piangeva, corse fuori, anima in pena, galoppando via sulla laguna».

Il critico Malusardi, protagonista del racconto Il Critico d’Arte, si arrovella per trovare il taglio giusto da dare alla sua recensione, di modo che l’ancora sconosciutissimo artista Leo Squittinna possa finalmente rivelarsi in tutta la sua grandezza agli occhi degli intenditori: «un genio destinato a far parlare di sé per lunghi anni e a riempire di quadricromie parecchi volumi di Skira». E lui ottenere fama come scopritore di talenti!

Certo, agli occhi di Malusardi le trenta opere di Leo Squittinna esposte alla Biennale non sembrano affatto richiamare le ricerca di equilibrio del neoplasticismo di De Stijl : «… una trentina di quadri apparentemente tutti uguali, formati da un reticolo di linee perpendicolari tipo Mondrian,… il che dava un senso di pulsazione, di stretta, di crampo, come quando nelle digestioni difficili qualcosa si ingorga nello stomaco e duole, per poi sciogliersi nel giusto andamento viscerale».

Dopo un lungo riflettere prova a buttare giù l’articolo.

Malusardi però non è convinto di quello che scrive. Il “mestiere” lo riporta sempre nell’alveo di una prosa ordinaria: «Ma qui appunto si precisa come la meccanica mondrianiana a lui si presti solo nel limite di un termine di trapasso da nozione a coscienza della realtà, dove questa sarà sì rappresentata nella sua prontezza fenomenica più esigente…».

Dopo il secondo articolo cestinato, Malusardi trova la chiave giusta: «di del dal col affioriccio ganolsi coscienziamo la simi-leguarsi. Recusia estemesica! Altrinon… rifè comerizzando per rerare la biffetta posca o pisca. Verè chi…»

Qui Buzzati, con il borbottare e il bofonchiare, simile al linguaggio del Grammelot, preso a prestito dalla commedia dell’arte, riesce con leggerezza giocosa da sperimentatore a centrare il riscatto della scialba figura del critico: «… Fabrizia Smith-Lombrassa, ragazza aggiornatissima o per dirla più elegantemente “assai avvertita”, leggeva avidamente il saggio critico…: “Senti, senti, Diomeda, che tesoro” – disse volgendosi all’amica – “senti come gliela canta, il Malusardi, a quei poveri figurativi… Rifè comerizzando per rerare la biffetta posca o pisca!”. Risero di gusto entrambe. “Spiritoso, niente da dire”, approvò Diomeda. “Ah, io l’adoro, il Malusardi. è un formidabile!»

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