Camilleri e Caravaggio. Il colore del sole

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di Ilaria Zanotto

Il colore del sole è un romanzo noir pubblicato da Camilleri nel 2007.

Siamo nel 2004. Camilleri torna dopo anni in Sicilia, a Siracusa, per assistere a una tragedia nel teatro greco. Quando si reca al teatro, si siede al suo posto, ma accanto a lui si siede un uomo che emana un certo olezzo, che a Camilleri disgusta molto. Quando ritorna in albergo per cambiarsi d’abito per poi recarsi ad una cena con amici d’infanzia, si accorge di avere in tasca un bigliettino con su scritto un numero a cui chiamare, sicuramente infilato da quell’uomo strano. Secondo precise istruzioni Camilleri chiama da una cabina telefonica, e il tizio che gli risponde gli propone di presentarsi il giorno dopo sotto l’hotel per accompagnarlo in un certo posto, ove potergli parlare di una questione che sicuramente avrebbe interessato lo scrittore. Camilleri, incuriosito, accetta e l’indomani sale nella macchina guidata da quell’uomo stesso che, a teatro, stava seduto accanto a lui. Durante il viaggio, però, lo scrittore è costretto a rispettare alcuni obblighi, come quello di essere bendato e sdraiato sul sedile. 

Arrivano a Bronte, dopo diverse ore di viaggio. Camilleri scende e rimane per qualche minuto da solo. Arriva una macchina dalla quale scende un uomo che gli apre la porta di un casale. Viene fatto accomodare in una biblioteca molto grande, fino all’arrivo di un tale Carlo che gli rivela essere stato lui ad averlo convocato. Gli spiega che sua moglie, morta da qualche anno, professoressa di storia dell’arte, era stata grande lettrice dei suoi romanzi. Era appartenuta ad una famiglia anticamente imparentata con Mario Minniti, stretto amico di Caravaggio. Un giorno le era capitato di ricevere una vecchia casa in eredità, avendovi trovato degli scritti autografi di Caravaggio, assolutamente inediti! Allora li sottopose a perizie segrete, per avere conferma della loro autenticità. 

Carlo mostra sia gli scritti che le carte delle perizie al dubbioso Camilleri. E gli fa pure vedere due antiche “camere oscure”: la prima serviva per proiettare l’immagine di una figura, attraverso uno specchio, direttamente sulla tela. La seconda invece era una sorta di riflessore che serviva a correggere gli errori di prospettiva. Secondo la moglie di Carlo, questi due apparecchi erano stati costruiti dal Caravaggio in persona! 

Una volta consegnate le carte, Camilleri può iniziare a leggerle e a trascrivere qualche brano, avendo a disposizione solo poche ore, prima di essere riaccompagnato in albergo. 

Inizia così la trascrizione del brogliaccio d’appunti scritto da Caravaggio, che spesso risulta frammentario e disconnesso. L’autore se ne scusa, avendo avuto troppo poco tempo a disposizione per la trascrizione. Le carte riguardano il periodo maltese-siciliano, poiché in seguito all’omicidio di Ranuccio Tommasoni, commesso nel 1606, l’artista venne condannato a decapitazione, e fu costretto ad una fuga continua. Dopo essere stato diversi mesi a Napoli, si era recato nell’isola di Malta per entrare nell’Ordine dei Cavalieri, la qual cosa gli avrebbe comportato l’annullamento della condanna. 

Caravaggio raccontava come il suo San Girolamo scrivente era stato osservato dal “Gran Maestro” dell’Ordine, Alof de Wignacourt, il quale si domandò come mai il Santo fosse avvolto da una fitta oscurità. Allora Caravaggio gli rispose di vedere tutto nero, eccetto che la figura del gran maestro che era al suo cospetto. Iniziava così a raccontare che quando si trovava a Napoli, non sopportava la luce del giorno al punto da uscire solamente la sera. Una notte andò a casa di una nota bardassa che era diventata una famosa maga. Da lei ottenne un liquido da applicare sugli occhi per risolvere il problema legato alla vista, e la prima volta che lo applicò, vide la luce del sole diventare nera, e avvolgere di nero tutti gli uomini e le cose, lasciandoli visibili solo in parte, come “tagliati da una luce di candela”. Da quel momento in poi, senza bisogno di dover rispalmare quel liquido sugli occhi, l’artista continuò a vedere il sole nero anche a Malta. Questo fatto lo confidò a frate Raffaele. Il quale gli ordinò di distruggere l’ampollina della maga, perché diabolica, ma Caravaggio l’aveva lasciata a Napoli. 

L’artista realizzò allora il Ritratto di Alof de Wignacourt insieme a suo nipote, che gli riuscì molto più luminoso del San Girolamo scrivente. Il gran maestro gliene chiese il motivo e l’artista rispose che iniziava a intravedere più luce. Tuttavia l’unica soddisfazione di questo dipinto, per Caravaggio, era stata di aver rappresentato “lo lucor de la corazza e l’ombra retrostante”. 

Iniziò quindi a lavorare alla Decollazione di San Giovanni Battista. E di nuovo disse di vedere la luce nera del sole, e che per lui non c’era più differenza tra la notte e il giorno. Frate Raffaele, osservando l’opera, capì che l’artista continuava a vedere il sole nero: e lo avvertì che ciò poteva essere conseguenza della obbedienza da lui prestata al Demonio. 

Il 14 luglio del 1608, anche il gran maestro osservò la Decollazione. Allora salutò l’artista chiamandolo “Cavaliere”, perché in quel giorno il noviziato di Caravaggio era terminato, avendo Paolo V acconsentito a che egli ricevesse l’abito e la croce. Una volta finita la Decollazione, ad osservare l’opera giunsero i Cavalieri Capitolari, il Collegiar Maggiore, l’Inquisitore, Alof de Wignacourt e frate Raffaele. Solo quest’ultimo notò la firma dell’artista ottenuta servendosi del sangue sgorgato dal collo del Battista, mentre tutti gli altri apprezzarono la resa veritiera della morte. Caravaggio racconta poi che uno dei paggi di Alof era solito recarsi alla sua cella. Questo fanciullo di nome Aloysio, che somigliava per altro al giovinetto che l’artista ebbe a modello per l’Amor vincitore, si divertiva molto con il riflessore costruito da Caravaggio stesso. Un giorno s’introdusse nella cella dell’artista e spogliatosi si mise davanti al riflessore, e non appena l’artista rientrò, gli chiese di realizzare un suo ritratto, che venne nascosto sotto il letto. Pochi giorni dopo Aloysio si confidò piangente con l’artista, raccontandogli uno sgarbo ricevuto dal paggio nipote di Alof. Caravaggio abbracciò il giovane per consolarlo ma in quel momento irruppe nella cella dell’artista un Cavaliere di Giustizia, invaghito di Aloysio, che colto da furia cieca, puntò la spada al petto dell’artista, il quale riuscì a difendersi cacciandolo via. 

Ma nei giorni successivi, volendosi vendicare, il Cavaliere ebbe l’idea di raccontare a frate Raffaele che Caravaggio per realizzare San Sebastiano scrivente si era servito del suo seme naturale per mescolarlo ai colori, dopo aver evocato il demonio. Questa falsa accusa bastò a far rinchiudere Caravaggio nel Forte di Sant’Angelo. Imprigionato, iniziò a ricordare alcuni episodi della sua vita. Raccontava così di aver ripensato alla sua infanzia, trascorsa fino a 12 anni a Milano; e che quando arrivò la peste, fu costretto insieme alla famiglia a tornare al paese Caravaggio. Ritornato poi a Milano, raccontava di aver visto durante una celebrazione nella Chiesa di San Francesco Grande, la Vergine delle rocce di Leonardo, della quale si era invaghito. Poi raccontava del suo apprendistato nella bottega di Simone Peterzano, dove rimase per quattro anni. Raccontava del suo primo guadagno di 393 imperiali all’età di 18 anni, e che a Milano conobbe una tale Nina, una prostituta. Appena Caravaggio arrivò a casa sua, mandò la donna a comprare del cibo e delle bevande, e durante la sua assenza nascose 300 imperiali sopra una trave lignea. Passata la notte, Caravaggio le ripropose di andare a comprare qualcosa per ripassare la notte insieme, ma Nina si assicurò che egli avesse gli 85 imperiali promessi. Rientrata, comunicò a Caravaggio che quella stessa sera sarebbero venuti due suoi amici. Fu la prima rissa in cui Caravaggio venne coinvolto poiché quei due uomini si erano accordati con Nina di rubargli tutto il denaro. L’artista venne arrestato perché le guardie credettero alle parole dei tre furfanti. In carcere restò otto mesi anziché tre anni grazie ad un capo delle guardie chiamato Lomellino. A Roma conobbe tale Lena, di cui era innamorato un certo Mariano Pasqualone, un notaio, screditato sia dalla donna stessa che dalla madre di quest’ultima. Caravaggio chiese a Lena se potesse prestarsi come sua modella (ritroveremo infatti il suo volto nella Madonna di Loreto). Pasqualone non accettò la situazione e denunciò la donna accusandola di prostituzione e fece proibire a Caravaggio di frequentarla, e si recò da lui stesso per comunicarglielo, e fu così che l’artista reagì d’istinto scaraventandogli il cavalletto in testa e facendolo scappare sanguinante. Lena si buttò tra le braccia dell’artista. Successivamente venne arrestato, ma intervenne il Cardinal Borghese, suo protettore… 

Finito questo flash-back, Caravaggio iniziò a pensare a come evadere dalla prigione. Fu così che Mario Minniti, fidato amico dell’artista, venuto a conoscenza della prigionia dell’amico, escogitò un piano per poterlo salvare. Coinvolse un certo Minicuzzo, un fiocinatore, con il quale s’imbarcò su una galera dell’almirante Sforza verso Malta. Reclutati quattro rematori e procurata una barca veloce, Minniti riuscì a parlare con Caravaggio e gli comunicò il piano di fuga. Caravaggio doveva affacciarsi dalla finestra non appena sentiva gli spari di cannone che indicavano l’inizio del torneo navale per la celebrazione della Battaglia di Lepanto. Udite le prime cannonate, Caravaggio si affacciò dalla finestra, sotto la quale c’era uno strapiombo che terminava con una barriera di scogli, e vide arrivare il caicco che stava puntando pericolosamente verso gli scogli. Si erse a petto nudo un uomo con in mano una fiocina, e non appena la barca riuscì a deviare gli scogli, la fiocina venne lanciata verso la finestra dell’artista. Alla fiocina era attaccata una corda, che serviva per far calare Caravaggio. Il caicco portò i due uomini alla nave contrabbandiera, dove ad attenderli c’era Mario Minniti.

Prima di arrivare a Siracusa, fecero una sosta a Girgenti, attuale Agrigento. Approdati, Minniti e Caravaggio si diressero a piedi verso Agrigento, e dopo due ore di cammino i due si trovarono davanti al tempio greco della Concordia. Preso da uno scatto vivace, l’artista si mise a correre verso il tempio e si sdraiò tra una colonna e l’altra per guardare il cielo. Minniti decise di raggiungere da solo Girgenti per portare l’indomani indumenti decenti al Caravaggio. Svegliatosi, Caravaggio rivide il colore chiaro del sole, salì su una carrozza donata a Minniti da alcuni amici e con loro si recò al palazzo del protonotario Findaca, per poi raggiungere a Licata Mario Tomasi, conosciuto da Caravaggio a Napoli. Tomasi fece alloggiare l’artista nel convento dei padri carmelitani, ed è qui che Caravaggio aiutò un’artista a completare il San Girolamo nella fossa de’ leoni. Successivamente si recò al palazzo del Tomasi, ma qualche giorno dopo questi lo avvertì che era giunta notizia dell’avventurosa fuga da Malta e gli era stato revocato il titolo di Cavaliere. Caravaggio, stizzito, colpì Tomasi, il quale lo fece rinchiudere in un sotterraneo, per poi liberarlo sì, ma con le braccia legate dietro la schiena. 

Il pittore si mise allora, in queste condizioni, in viaggio verso Siracusa. Ad un certo punto un frate, che ebbe pietà di lui, lo aiutò a slegarsi e gli vendette un cavallo. A Siracusa, Minniti riuscì ad ottenere un alloggio e un incarico per il suo amico artista. Al quale venne allora commissionato il Seppellimento di Santa Lucia per l’omonima chiesa. 

A Siracusa iniziarono i primi incubi notturni dell’artista, primo fra tutti quello del cane che balzava dalla sua finestra per tentare di morderlo. Per l’opera alla quale stava lavorando, Caravaggio osservò molto attentamente due seppellitori del cimitero vicino. Dopo alcuni giorni di pioggia, passeggiando per il chiostro, vide in una pozza d’acqua il riflesso di un uomo barbuto, con la bocca aperta dal dolore e i denti guasti: quell’uomo era lui. Un altro giorno, per tornare al convento, passò per una vinella stretta, e ad un certo punto scorse un angelo che gli sorrise, simile a quello del San Matteo, ma non appena si trovò vicino a lui, l’angelo lo privò dei suoi indumenti e toccò la ferita ricevuta dal fratello di Ranuccio lo stesso giorno del delitto. Caravaggio cadde per terra svenuto, e così fu ritrovato dal Minniti, al quale disse di essere stato derubato da borseggiatori. Quasi ultimata la tela, Caravaggio notò che la cotta del diacono, inizialmente dipinta di bianco, diventava di colore rosso per più volte. Terminata, l’artista fu costretto a fuggire a Messina insieme al Minniti. Il 3 gennaio del 1609 partì per Messina, ma a causa di un imprevisto, si fermò a Naxos. Accolto dal giureconsulto Martino, il pittore attese l’arrivo del messo di Lazzari, che non appena giunse da lui, gli disse che anche a Messina era arrivata la notizia della sua fuga e della sua condanna. 

Giunto a Messina, la luce era sempre più nera, tant’è che quando Lazzaro gli disse che voleva un’opera piena di luce, Caravaggio tremò e cercò di fargli cambiare idea. Iniziò a lavorare alla Resurrezione di Lazzaro, e dato che alloggiava vicino all’ospedale dell’Ordine dei Crociferi, spesso vedeva trasportare cadaveri dai facchini. A due di essi chiese di mettersi in posa. Appena finita, l’opera venne apprezzata da Lazzari, ma questi notò che Lazzaro malvolentieri voleva risorgere. L’artista firmò l’atto di consegna con il titolo di Cavaliere. 

Realizzò poi per la Chiesa di Santa Maria degli Angeli un’Adorazione dei pastori, dove negli occhi di Maria l’artista rappresentò tutta la malinconia da lui provata ogni sera guardando il mare. 

Imbarcatosi per Palermo, durante la navigazione, Caravaggio non riusciva più distinguere la notte dal giorno. Vedeva una fuliggine perenne, tanto che non percepiva più i colori com’erano, ma di loro restava solo il ricordo. Arrivato al convento dei francescani, iniziava a lavorare alla Natività per l’Oratorio di San Lorenzo. Durante quelle notti, Caravaggio urlava e smaniava, finché il superiore, che si trovava nella cella accanto, si mise al lato del letto e gli prese una mano, cominciando a ripetere parole in una strana lingua, fino a farlo addormentare. L’indomani gli raccontò del suo sole nero, ma senza suscitare scandalo. Diverse notti gli stette accanto. Per diverse notti infatti Caravaggio non sognò più i cani, e iniziò a rivedere il sole, e passò così una breve e calma estate. Fino a che Minniti, giunto da Siracusa, gli comunicò che da Malta era arrivata l’ordine della sua condanna a morte. Caravaggio troverà ospitalità a Napoli dalla marchesa Colonna. E allora non continuò a scrivere il suo brogliaccio lasciandolo al Minniti.

Quando Camilleri ritornò a Roma, si mise a lavorare sulle pagine che aveva potuto trascrivere. Non essendo stato autorizzato da Carlo a pubblicare quelle carte, Camilleri decise di richiamare quel numero scritto sul fogliettino, ma senza mai ricevere risposta. Finché non si presentò a casa sua un poliziotto che gli chiese come mai lo scrittore avesse chiamato ripetutamente quel numero. Camilleri inventò una scusa, e alla fine il poliziotto gli disse che la persona chiamata era il committente del furto della Natività avvenuto nel 1969. Nel 2005 Camilleri sfogliò un giornale e riconobbe in una foto Carlo, rivelato essere un avvocato colluso con la mafia, morto assassinato. Camilleri allora intuì un parallelo: come Caravaggio fu perseguitato dai sicari dei Cavalieri e dalle guardie papali, anche Carlo era ricercato dalla polizia e dai sicari mafiosi.

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