“Amedeo je t’aime” di Francesca Diotallevi

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di Ester Perna

L’autrice di questo romanzo, Francesca Diotallevi, scrive nei ringraziamenti che questo libro non sarebbe mai stato prodotto senza una spinta iniziale: menziona quindi suo padre, esperto di Modigliani e, tra gli altri, Patrizio, che le ha regalato un biglietto per Parigi e, in un freddo gennaio, l’ha accompagnata in tutti i luoghi di Amedeo e Jeanne, camminando tra la neve. La scrittrice, con uno stile elegante e preciso, penetra nell’anima di Amedeo e Jeanne, cogliendoli nelle loro debolezze e passioni. Il romanzo inizia nel 1920, la sera in cui la donna, disperata e incinta del secondo figlio, decide di mettere fine alla propria vita: la leggenda vuole che Modigliani, ormai conscio anche della sua stessa fine, abbia chiesto alla sua amata di seguirlo nella morte. La narrazione si svolge a ritroso, dal 1917 all’inizio del 1920, attraverso i ricordi della stessa Jeanne raccontati in prima persona.

Parigi, 1917. Jeanne Hébuterne ha solo diciannove anni quando, a una festa di carnevale, incontra il pittore Amedeo Modigliani, ubriaco, sdraiato sull’erba che declama versi. Soprannominato “Maudit”, ovvero “Maledetto”, il pittore è conosciuto nel quartiere di Montparnasse per lo stile di vita dissoluto e il carattere impetuoso, oltre che per i malinconici ritratti dagli occhi privi di pupille che nessuno vuole comprare. Lei è un’aspirante pittrice che non può fare a meno di sentirsi attratta fatalmente da quest’uomo bello e povero, che sembra vivere di sogni apparentemente irrealizzabili e affoga dolori e frustrazioni nell’alcol e nella droga. Per lui lascia ogni cosa, mettendo da parte le proprie aspirazioni, e si trasforma in una compagna fedele e devota, pronta a seguirlo ovunque, anche oltre la soglia del nulla. Struggente e tormentata, la loro storia scardinerà ogni convenzione, indifferente a regole e tabù, obbedendo all’unica legge a cui non ci si può sottrarre: quella del cuore. Amore e morte si mescolano alla passione che anima il cuore di un artista, al desiderio disperato di riuscire ad afferrare una scintilla di infinito.

L’artista è sempre preceduto dalla sua fama, fa parlare di sé nei bar e nei locali, per il suo stile di vita e il carattere impetuoso: «Non c’era una sola persona, tra Montmartre e Montparnasse, che non sapesse chi fosse. ‘Modì lo chiamavano. Maudit, maledetto. Dicevano che quando eccedeva nel bere, spaccava i bicchieri e insultava i camerieri. Si aggirava tra i tavoli dei bistrot alla ricerca di qualche cliente da ritrarre, cedeva i suoi rapidi schizzi in cambio di un bicchiere di Pernod’».

La carriera artistica di Modigliani è stata breve: dopo gli esordi a Livorno, decide di traferirsi a Parigi per sperimentare l’atmosfera e i grandi avvenimenti che vi si svolgono. Ortiz è il primo a parlargli di questa città e degli artisti visionari che stanno sradicando tutti i codici dell’arte, facendo nascere nell’amico la voglia di immergersi in quel fervore di idee. Solo in tale luogo la sua arte può prendere vita: «L’ideale per me sarebbe tornare in Italia. Ma la pittura è più forte del desiderio. Solo l’atmosfera di Parigi riesce a ispirarmi. A Parigi sono un disgraziato, ma non posso lavorare altrove».

Nel 1910, quando Amedeo Modigliani espone al Salon des Indépendents, la critica gli è favorevole, ma durante quell’anno, sotto l’influenza delle forme arcaiche degli idoli e delle maschere primitive, si dedica esclusivamente alla scultura. 
Dopo la dichiarazione di guerra nel 1914, abbandona la scultura e la pittura diventa la sua unica fonte di espressione. La prima esposizione personale dell’artista si tiene alla Galleria Berthe Weill ed è organizzata da Léopold Zborowsky, mercante d’arte del tempo. Vengono esposte trentadue opere, ma viene chiusa dopo un solo giorno per oltraggio al pudore. L’artista non si arrende e continua a difendere i suoi ideali e con coraggio permane nella miseria, ostinato a vivere per l’arte, solo per l’arte, che è in grado di esprimere l’inesprimibile. 
Nel 1918, l’aggravarsi della salute del pittore lo obbliga a trasferirsi per qualche mese in riviera per un soggiorno a Nizza, dove dipinge gli unici paesaggi della sua carriera, decidendo subito di tornare a Parigi per ritrovare l’ispirazione perduta: «Li ho dipinti per noia, l’ispirazione è un’altra cosa». La galleria Paul Guillaume a Parigi presenta una esposizione collettiva di opere della pittura giovane ed i quadri di Amedeo Modigliani sono a fianco a quelli di Matisse e di Picasso.

Modigliani è sempre teso verso qualcosa che non raggiungerà mai, ha bisogno di camminare sull’orlo del baratro per sentirsi vivo: «Lo vedevo sempre teso verso qualcosa e qualcosa non ero mai io. Mi faceva soffrire sentirlo sempre distante, con la mente e con il cuore, perso nella danza senza tempo degli eterni insoddisfatti». Alla ricerca della sua dimensione perfetta, giusta, che non può esistere per un uomo inquieto e smanioso di fuggire da ogni cosa, anche da se stesso. 
Diventa famoso per il suo lavoro rapido: si dice completasse un ritratto in una o due sedute; una volta terminati, non ritocca mai i suoi dipinti. Prima di iniziare a dipingere, fissa la tela, spesso per ore, i suoi demoni si trasformano in colore vibrante, le angosce si riversano sulla tela e si cristallizzano in malinconici volti. Le sue opere sono originali, per la maggior parte si tratta di bellissimi ritratti femminili: questi capolavori si distinguono facilmente perché sono caratterizzati da colli allungati e volti stilizzati. Si prenda come esempio la descrizione del ritratto di Beatrice Hastings: «La tela più grande era occupata dal corpo nudo e sensuale di una donna abbandonata su una coltre di guanciali. Le braccia spalancate, ripiegate sotto la nuca, il volto inclinato, il lieve sorriso che le increspava le labbra vermiglie, tutto in lei trasmetteva fiducia e totale appagamento». 
La vera particolarità è da ricercare soprattutto negli occhi: privi di pupille, vitrei, da una parte c’è chi vede in ciò una profonda difficoltà nel relazionarsi con le donne, mentre secondo altri Modigliani non li dipinge alle sue modelle finché non è in grado di vederne l’animo. O forse gli occhi vitrei sono un modo per rappresentare l’introspezione dei suoi personaggi, il fatto di “guardarsi dentro” e non solo di guardare il mondo. Jeanne definisce Modigliani come «un uomo che sapeva leggere dentro agli occhi delle persone, ma sceglieva di non raffigurarli nei suoi quadri, perché quello che c’era dietro un’iride era spesso troppo personale per essere mostrato in pubblico». 
Nel libro preso in esame solamente Jeanne viene ritratta per la prima volta con occhi veri, innamorati e dallo sguardo malinconico; mentre, altre volte, dipinge un occhio di tenebra e l’altro con un tocco di luce, quando gliene viene chiesto il motivo risponde: «Un occhio sì e l’altro no. Perché con un occhio osserviamo il mondo davanti a noi e con l’altro guardiamo il mondo dentro di noi. Non tutti, però, hanno questa capacità»
La sua arte ha per soggetto solo ed esclusivamente l’uomo, in tutte le sue sfumature, senza eroismi, con fragilità e debolezze. Modigliani si definisce un ritrattista: «Nel paesaggio non c’è niente da esprimere. Per lavorare ho bisogno di un altro essere vivente, di vederlo davanti a me, come siete voi ora… Se devo essere sincero, non ho interesse nemmeno per temi storici e mitologici o scene di vita quotidiana. Cose di questo tipo mi annoiano». 

La sua carriera artistica può dirsi conclusa nel dicembre del 1919 con un autoritratto. Per la prima volta, per lasciare una traccia di sé, testamento di un uomo dagli ideali incorruttibili, che ha sempre creduto in un’unica fede: la sua arte. Jeanne ce lo descrive così: «Per la prima volta nella sua vita, stava affrontando il più difficile dei soggetti: sé stesso. Quell’autoritratto, il primo che avesse mai dipinto, era la fine di un percorso. Una vita trascorsa a studiare anime e cicatrici, in equilibrio su fragilità ed emozioni, senza mai scrutare dentro ai propri occhi».Modigliani non abbraccia nessuna corrente del tempo, la sua sregolata vita si discosta dalla propria opera, estremamente misurata, unica nel suo genere, intrisa di mistero e magia: «Quando gli chiedevano a che corrente appartenesse le labbra gli si increspavano in un sorriso: ‘A Modigliani’ rispondeva, toccandosi il petto con il palmo aperto».

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