“Il capolavoro sconosciuto” di Honoré de Balzac

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di Eleonora Flavi

L’arte non ha mai conosciuto limiti interpretativi, ha da sempre permesso libertà di spaziare e creare senza mai dover porre un freno alle possibili soluzioni dei mezzi compositivi. L’obbiettivo di un’opera infatti è quello di voler rappresentare la realtà attraverso una composizione che non possiede elementi vivi e animati. Possiamo definirlo come un limite di realtà, ovvero l’incapacità dell’opera di apparire già viva e non quindi un elemento che fa da tramite della realtà.

Artisti realisti, come Courbet per esempio, si occuperanno soltanto di ritrarre la realtà così com’è, ma senza voler rendere davvero viva l’immagine. 

Intorno a questo argomento gravita il racconto dello scrittore francese Honoré de Balzac, “Il capolavoro sconosciuto” pubblicato in una prima edizione del 1831 e poi successivamente in una seconda del 1847. Si affronta qui il tema del limite di realtà tramite il personaggio di Frenhofer, un vecchio artista arrivato ormai al termine della sua vita artistica, sentimentale e sociale. Il pittore si trova in una fase in cui non riesce più a superare il limite della sua massima espressione artistica. Egli è intenzionato a rendere vivo un dipinto inconcluso, che teneva nascosto da dieci anni in una parte del suo atelier, nel quale è raffigurata una figura femminile. Al termine del racconto però questa continua ossessione lo porterà alla pazzia. Finisce così per concludere il quadro con la copertura totale della modella, raffigurata in una moltitudine di macchie e tratti di colori indistinti e lasciando integro solo un angolo basso della tela.

Frenhofer allora, nel suo completo fallimento, vedrà la personificazione totale della vita, affermando di percepire attraverso le macchie di colore le parti vive e animate della fanciulla. 

L’artista ricorda il Pigmalione raccontato da Ovidio, uno scultore che grazie all’amore per la sua opera marmorea si vedrà vivificare davanti la stessa. In un passo del racconto sarà proprio il pittore balzachiano a citare Pigmalione, invitando altri due personaggi (Porbus e Poussin) a non prendere in considerazione il tempo che ha impiegato per realizzare la prima opera vivente: «Ma che sono mai dieci brevi anni, quando si lotta con la natura? Ignoriamo quanto tempo impiegò il signor Pigmalione per realizzare l’unica statua che abbia mai camminato!».

Affermando questo, Frenhofer si paragona involontariamente al personaggio ovidiano, riducendo allora l’idea della sua impresa ad un mito e perciò realmente irrealizzabile.

Il completo fallimento di Frenhofer, nonché la sua più grande sconfitta, può rivelarsi in realtà un’importante scoperta artistica. Difatti, nel racconto, il vecchio pittore era stato allievo prediletto del famoso Mabuse. Ci troviamo allora alla fine del 1612, quando gli ideali del Classicismo si andavano affermando. Così la concezione universale e immutabile della bellezza ideale, espressa tramite l’ordine, l’armonia e la proporzione vengono da Frenhofer capovolti nel momento della sua pazzia e tramutati nell’anticipazione di quello che sarà il movimento Espressionista, di circa tre secoli dopo. Si può dire, per ora, che il desiderio del superamento del limite di realtà può essere realizzato sotto la concezione degli ideali dell’Espressionismo, volto a suscitare, attraverso la percezione visiva, le emozioni reali e concrete con il colore piuttosto che con il disegno vero e proprio. Soltanto la percezione visiva è in grado di creare vividezza nell’opera, concetto discusso anche da Leonardo Da Vinci in uno dei suoi trattati. Il pittore ci spiega come la vista sia l’artefice dell’inganno: «… l’occhio, inquinato al suo uffizio, piglia il vero piacere di tal bellezza dipinta, qual si facessi della bellezza viva». Il pittore, secondo Leonardo, può superare con la pittura le capacità umane, inducendo gli uomini ad «amare e innamorarsi di pittura, che non rappresenta alcuna donna viva». Possiamo, non a caso, accostare la sua figura a quella di Frenhofer: l’artista, infatti, teneva così tanto alla sua Gioconda da volerla portare sempre con sé durante i suoi viaggi. Leonardo vedeva già nel primo schizzo della moglie del banchiere fiorentino, Francesco del Giocondo, il superamento della bellezza greca, nonché la realizzazione di un qualcosa che andasse oltre l’arte terrena. In conclusione, il limite di realtà può essere superato attraverso la visione ottica, che con una composizione pittorica ben precisa può permetterci di stimolare in noi sensazioni derivanti dall’illusione della realtà.

Edizione: 2002 , BUR Biblioteca Univ. Rizzoli a cura di Davide Monda

Link: https://bur.rizzolilibri.it/libri/il-capolavoro-sconosciuto-pierre-grassou/

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