“Colloqui di Poissy”

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di Lucrezia Lucchetti

Sullo sfondo della guerra di religione della Francia del XVI secolo, a Poissy, nel 1561, si tengono dei colloqui tra le delegazioni di teologi Cattolici e Ugonotti convocati da Caterina II de Medici regina di Francia per porre un freno ai dissidi religiosi. Non si riuscirà a trovare un accordo e la Francia verrà dilaniata dagli scontri, dagli assedi delle città, dai roghi e dalle torture. In tale scenario crudele e problematico che sembra non avere fine, Agostino, giovane scrivano italiano che si trova ai servizi del Legato Apostolico presso la corte di Francia, vive una straziante storia d’amore per la giovane Virginie. La ricerca della giovane, accusata di eresia e cospirazione ai danni dello stesso Legato Apostolico, come lo era stato il padre, ricco mercante di Rouen, lo porterà lontano dalla corte, nel caos di quest’ultima cittadina, assediata dall’esercito cattolico, fino allo scioglimento tragico del finale.

In questo sconcertante e difficile sipario storico, che viene delineato con un linguaggio molto attuale da Agostino di Bondeno, è stimolante analizzare tutte quelle parti che ci parlano di arte tra le pagine e in che modo il contesto storico, sociale, e religioso in cui ci troviamo possa innalzare o distruggere qualsiasi relazione l’arte possa avere con esso, a seconda di quale significato venga dato ad una statua, ad un ciborio, ad un’architettura, ad un’opera in generale. L’iconoclastia ha una tradizione antichissima che risale al VII secolo, quando nella Bisanzio di Costantino V è nata l’idea che la venerazione delle icone sfoci in una specie di idolatria. Ciò porta, oltre ad un duro confronto dottrinario, alla distruzione di un numero esorbitante di immagini sacre. Questa tipologia di episodi ritorna col passare del tempo nella Francia della seconda metà del Cinquecento, a seguito della riforma protestante. Molte statue ed effigi nelle chiese e cattedrali nordeuropee sono state devastate. D’altro canto, i Cattolici consideravano eresia azioni di tale tipo. Tutto nasce dalla concezione di considerare l’immagine come viva. Appartiene al passato, ma non è morta. Le statue sono una specie di incarnazione immobile non solo dei principi, ma anche dei santi, delle Vergini. Oggi l’Isis ha ridestato questo senso della fisicità dell’immagine. Le statue del Buddha sono state bombardate perché rappresentazione di un Buddha vivente per i fedeli e, come tale, distruggere la sua icona significa distruggere quel tipo di adorazione, colpire i fedeli nel profondo della loro venerazione. In questo libro si descrive come le reliquie e le statue spariscano dalle chiese. «’Nel nulla? Come sarebbe?’ ‘Certamente per mano dei ladri, gente diabolica che si macchia di così vergognoso sacrilegio: perché è sacrilego rubare le reliquie, come pure rubare le statue. Le statue non si rubano, perché sono anch’esse cose sacrate. E sono vive!’ ‘Sono vive?’ ‘Sono vive, ma certo!’ e si continua con un episodio sotto re Carlo VI, durante la guerra tra Francesi e Inglesi. Un soldato volle portare con sé la scultura in argento di San Giovanni, ma la statua non si fece prendere! Gli volse le spalle semplicemente». E, ancora più avanti nelle pagine, si parla di una veneratissima immagine della Vergine a cui avevano levato gli occhi: «Non vi dico o spavento delle altre suore […]. Sapete, gli occhi di quell’immagine io me li ricordo bene: parevano vivi, fissavano chiunque vi si trovasse dinanzi, mettevano anche paura… L’atto sacrilego era freschissimo, come lasciava credere l’odore dolciastro del legno. Di indagini se ne fecero, ma il furfante non si trovò, per il resto la chiesa era tutta in ordine».
Di nuovo, davanti alle statue di San Luigi, Margherita di Provenza e figli, viene detto che essi sono vivi in carne e ossa, che osservano i fedeli severamente, anzi li ammoniscono. Permettere agli eretici di congregarsi in un luogo santo scatena le loro ire e i loro sguardi diventano rigidi. Durante i colloqui di Poissy, uno dei teologi, Beza, riporta molto chiaramente gli atteggiamenti dei fedeli nei confronti delle statue che possono definirsi idolatrici: «Denuncia il gran peccato che tutti noi commettiamo quando, davanti alle statue e alle immagini dipinte, ci inginocchiamo in atteggiamento di adorazione: egli ci rimprovera perché davanti alle dette statue e alle immagini dipinte ci caviamo la berretta, ci posterniamo, spargiamo incenso, accendiamo lampade e candele, attacchiamo voti, cantiamo, imploriamo ogni tipo di grazia e così finiamo per osservare una quantità di riti da ritenersi tutti, a suo dire, di derivazione gentilesca. Beza dice intollerabile che le immagini dei nostri santi vengano vestite per l’estate e per l’inverno, come fossero adorabili pargoletti, bisognosi di tutte le cure di questo mondo […]Voialtri lavate le immagini come si lava un bimbo! Bravi! Come si lava un morto!’. Intollerabile, a suo dire, che noi invochiamo le immagini per ottenere che esse facciano miracoli. Beza ci rimprovera per di più perché ci dimentichiamo del secondo comandamento di Dio, che ci proibisce esplicitamente di scolpire e dipingere immagini sacre. A suo dire, a Roma, siamo sempre stati degli idolatri, perché tuttora collochiamo le immagini nei luoghi più eminenti dei sacri templi onde poterle meglio adorare». Ma cosa si intende per idolatria in quel momento? Cosa sono gli idoli? Beza spiega che a Roma l’idolatria gentilesca non è mai stata sconfitta. Le immagini sante vengono ancora fabbricate per essere collocate nelle chiese ed essere adorate, similissime alle statue che i gentili veneravano dentro i templi. Questo fatto per cui l’onore dovuto alle immagini debba intendersi come indirizzato ai loro prototipi e non alle immagini di per sé è una falsità, poiché, come continua il teologo, i santi non avrebbero voluto un simile trattamento di adorazione in vita. Quindi, perché si deve pensare di riservarglielo tramite le immagini?

Al quaderno nono del libro, si evolve un dialogo molto interessante tra Agostino e Nichetto: Nichetto gli chiede di osservare alcuni quadri dove si vedono montagne, pianure, laghi, fiumi, cieli luminosi o ricoperti di nuvole e altre cose. La regina, dice Agostino, apprezza questa maniera di pittura, così dilettevole e riposante in quanto fa bene alla salute sottrarsi alla vista di tutti quei ritratti corrucciati dei personaggi del passato o delle scene di battaglia. Il dipinto che guarda Agostino rappresenta un incendio che divampa e sta distruggendo la campagna. Il bosco brucia, gli animali fuggono atterriti, mentre in lontananza si vede una città che sembra fatta di cristallo, trasparente e fragile. Le cose lontane sono dipinte in azzurro e verdino così da farle apparire veramente lontane, secondo un artificio dell’arte moderna molto apprezzato. Nichetto fa notare ad Agostino quanto sia rimasto impietrito davanti all’incendio dipinto, come fosse una statua di marmo. Lui è di sale, similmente al racconto della distruzione di Sodoma, quando la moglie di Lot, contravvenendo all’ordine di Dio, si era voltata indietro a guardare la sua città divorata dalle fiamme ed era stata trasformata in una statua di sale. Il quadro mostra come finirà l’umanità, che fine faranno Poissy, Parigi e l’intera Francia. 

Tra i fogli sparsi degli ultimi capitoli del libro Agostino di Bondeno, riporta cronache che si riferiscono a quanto gli Inglesi, guidati da Riccardo Cuor di Leone, scorrazzavano in Francia e una volta arrivati presero a lanciare sassi contro la statua della Vergine col bambino, a cui gli abitanti avevano appena rivolto le loro suppliche. Quel braccio era caduto nel fango ed aveva cominciato ad uscire sangue, come fosse una persona vera. Il colpevole, che era stato proprio il re, era rimasto turbato dal prodigio: «Oggi però quella stessa immagine che aveva preso a fare così tanti miracoli dopo essere stata risanata dalla ferita sanguinosa è stata presa nuovamente a sassate perché sanguinasse ancora…ma niente da fare!».
E così altre immagini a Parigi, nel villaggio della Burbonese, una volta colpite stillavano sangue. E ancora notizie da Sciartre dove esse vengono distrutte per punirle delle fallaci promesse di salvezza rese a quegli uomini partiti per la guerra e mai più tornati. Una effigie della vergine, una “Virgo paritura” antichissima, la più antica del sacro tempio dove era custodita, risalente ad un tempo precedente alla nascita di Gesù, è stata distrutta. Gli uomini d’arme, prima di andare in guerra, rivestivano l’immagine con una camicia di tela che poi indossavano sotto l’armatura, affinché li proteggesse dai colpi. Le madri degli uomini che non si erano salvati, sconvolte dalla rabbia, avevano profanato la statua. Anche il ciborio della chiesa di Scialon, il cui oro era stato trovato da un antichissimo re dei Franchi sotto gli alberi di una foresta, era stato profanato e distrutto. Un crocifisso fatto di pregiati cristalli colorati, che i marinai ringraziavano quando le più terribili tempeste si placavano, era stato gettato al fuoco. A Chaterlerault si venerava un’antichissima immagine della Vergine, che veniva portata in processione intorno alle mura della città acciocché le sue labbra potessero benedire e baciare tutte le porte. Essa era sparita misteriosamente e quando era stata ritrovata, era stata punita pubblicamente e distrutta per essersi sottratta alla cattura. Ma non era sfuggita all’ira degli Ugonotti. 

Gli ultimi due capitoli raccontano minuziosamente la sorte della cittadina di Rouen, similare a tante altre della Francia, colpite dall’assedio dell’esercito Cattolico. Agostino riporta che la città era stata spogliata e distrutta, parla di una rabbia cieca e incomprensibile che si era riversata sulle statue e sulle sculture come se fossero vere. «E tutti quegli uomini insensati che incrudelivano pure contro le pietre, fredde e prive di vita, cioè contro le statue dei santi e dei profeti che a gloria di Dio fino dai secoli più antichi avevano ornato i sacri templi della città. Ma cosa pensavano di ottenere quei folli, quei senza Dio mentre si ingegnavano a staccare dalle nicchie e dai pinnacoli e dalle alte torri tutte le figure scolpite, facendole precipitare a terra? […] E non riuscivamo a capire perché dentro la chiesa di Sant’Euverte gli eretici forsennati, gli uomini e persino le donne si mettessero a orinare sui santissimi cibori fino a che questi non fossero pieni fino all’orlo. E perché le immagini della beatissima Vergine, regina del Clero e messaggera privilegiata del Signore, venissero da loro prese a martellate davanti a tutti. […] Così la chiesa cattedrale, che era una delle più grandi e superbe macchine di tutto il mondo, poiché il solo coro dicevano essere poco meno grande di tutta quanta la chiesa di Nostra Dama di Parigi e di San Pietro di Poitiers, faceva pietà e spavento a vederla mentre veniva completamente gettata a terra».

Il libro si conclude con un ritorno all’adorazione delle immagini. L’esercito cattolico ha vinto, coloro che si erano riconosciuti colpevoli di crimini contro le sante immagini e le reliquie vengono puniti. Tutti tornano a prostrarsi all’immagine della Vergine Santissima a Rouen, che per miracolo è sopravvissuta alle ultime distruzioni. Per lei si levano canti dolci e soavi di devozione. 

Il libro racconta una parentesi storica difficile, piena di incomprensioni, decisioni affrettate, scelte poco ponderate dettate dall’assenza della ragione, guidate dal solo lume accecante della fede. Una parentesi che porta con sé violenza, morte e distruzione di ogni tipo. L’adorazione delle immagini e degli idoli è un atto che ci trasciniamo dietro ancora oggi, se pensiamo al modellino del Bambin Gesù che baciamo alla messa di Natale o al presepe creato con grande dedizione nelle nostre case. Anche la loro profanazione ce la portiamo dietro da secoli ed è ancora presente in alcune parti del globo, dove le statue e le effigi vengono distrutte ancora oggi poiché considerate come embodiment di quei miti, di quei personaggi, di quella religione. Distruggere o rovinare l’immagine di un qualcosa o di un qualcuno, il prototipo di un qualcosa o di un qualcuno, è un messaggio di una efficacia enorme, poiché viene danneggiato il passato, quello che c’è stato, ciò a cui si è dato un valore. Se si demolisce la fatica, l’inventiva, la memoria, il valore di una statua, di un’opera, di una reliquia, si distruggono le persone che hanno lavorato per essa, le persone che l’hanno ideata, si annichilisce l’entità di un popolo, di una nazione, di un mondo, di un pensiero. L’arte è materia solo in quanto essa si serve della materia, perché attraverso la materia riesce a dare vita ad un’idea, ad un’emozione, ad un concetto che possiede un’anima. Quindi se si distrugge l’arte, si distruggono le idee, le emozioni, i concetti che hanno anima. 

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