“Antichi maestri” di Thomas Bernhard

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“Antichi maestri” di Thomas Bernhard è una summa di riflessioni critiche e polemiche circa la vita, la società, il mondo, la cultura e l’arte. Ambientato a Vienna intorno agli ultimi anni Venti del Novecento, ha come protagonista di queste riflessioni Reger, un musicologo che ha superato gli ottanta anni, piuttosto schivo e abitudinario, il quale da trent’anni si reca al Kunsthistorisches Museum, si siede sulla panca della “Sala Bordone”, di fronte all’“Uomo con la barba bianca” di Tintoretto e passa lì le sue mattinate. Il museo rappresenta per Reger un luogo di produzione intellettuale. Con il trascorrere del tempo ha fatto in modo che divenisse una consuetudine per il suo intelletto ed è per questo motivo che la qualità delle sue critiche musicali sul Times dipende proprio da questa abitudine. Ogni essere umano ha bisogno, secondo lui, di un’abitudine per sopravvivere.

«Le cosiddette arti figurative sono della massima utilità per un musicologo come me, e io più mi sono concentrato sulla musicologia, tanto più insistentemente mi sono occupato delle cosiddette arti figurative; viceversa, penso che per un pittore, ad esempio, sia molto vantaggioso dedicarsi alla musica […] L’arte figurativa completa meravigliosamente quella musicale e l’una ha sempre un effetto positivo sull’altra».

Trascorrendo molto tempo al museo, Reger ha modo di analizzare il comportamento delle persone: gruppi turistici o scolaresche vengono accompagnati dalle guide per scoprire le bellezze degli antichi maestri. Questo per Reger è quanto di più odioso possa esserci, perché «sono decenni che le guide dei musei dicono le stesse cose, tra le quali moltissime sciocchezze. Se prestiamo ascolto alle guide sentiamo esclusivamente le chiacchiere insopportabili degli storici dell’arte»non a caso definiti da lui come “parolai”. Questi poveri turisti vengono prelevati ai loro hotel e poi vengono lasciati al museo nelle mani delle guide che li conducono da una sala all’altra riempiendoli di nozioni sull’arte e la pittura, senza dar loro il tempo e il piacere di apprezzare le opere. Inoltre, dalle guide si sente utilizzare spesso il termine “capolavoro”, per Reger aggettivo ancora più odioso perché «tutto ciò che è appeso a queste pareti e porta il termine di capolavoro ci distrugge. Io parto dal presupposto che il perfetto, il tutto, non esistano affatto e ogni volta che ho trasformato in un frammento una di queste opere d’arte perfette appese alle pareti, cercando sopra e dentro quell’opera d’arte, finchè non lo trovavo, un errore palese, il punto che rivela in modo inequivocabile il fallimento dell’artista […] Dobbiamo andare a San Pietro e constatare che è una costruzione abborracciata e di pessimo gusto, che l’altare del Bernini è un esempio di ottusità architettonica».

Per quanto riguarda le scolaresche, il protagonista odia e critica aspramente il comportamento degli insegnanti, rimproverando loro il fatto di “rovinare” negli alunni il gusto per l’arte. Questo perché i primi provengono da un ceto sociale medio-basso e non conoscono realmente l’arte, non ne sanno nulla, eppure la insegnano ai giovani, ostacolandone la comprensione e la decifrazione. Da qui ulteriori critiche rivolte allo Stato e all’arte, che subisce lo stesso trattamento, facendo anch’essa parte di un mondo artificioso costruito ad hoc per le menti meno colte, più ingenue e più facilmente condizionabili. «Perché l’arte appesa a queste pareti non è nient’altro in realtà che un’arte di Stato, un’arte compiacente». Tutti gli antichi maestri avevano da sempre servito la committenza, quindi la Chiesa e lo Stato e, invece di seguire le proprie inclinazioni o i propri istinti, avevano compiaciuto le loro civetterie. Di conseguenza, nessun artista può definirsi veramente libero. «Perché i pittori dipingono dal momento che c’è già la natura? Eppure, anche l’opera d’arte più straordinaria è solo un misero tentativo, completamente assurdo e vano di imitare o addirittura di scimmiottare la natura […] Non guardi troppo a lungo un quadro, non legga un libro con troppa penetrazione, non ascolti un brano musicale con il massimo impegno, perché si rovinerebbe tutto e quindi anche ciò che di più bello e di più utile esista al mondo». In fondo, il pittore si limita a dipingere ciò che gli procura notorietà o ciò che egli è stato incaricato di dipingere. Pertanto, l’uomo finisce per avere nostalgia della natura.
Soltanto alla fine del libro capiamo il vero motivo dietro tutte queste aspre critiche e quest’odio nei confronti di ogni cosa: Reger soffre ancora tantissimo per la morte della moglie, la donna che lo ha salvato e, soprattutto, la donna che aveva conosciuto in un giorno qualunque al museo, proprio mentre se ne stava seduto sulla panca della Sala Bordone. Lei si era seduta accanto a lui e si era messa a fissare “Uomo dalla barba bianca” di Tintoretto, finché non le aveva chiesto: «’Le piace così tanto?’» e lei aveva risposto di no. Da lì si era aperto un dibattito sull’arte, sugli antichi maestri, sui pro e i contro della pittura e allora Reger, piacevolmente sorpreso da quell’incontro, l’aveva invitata a pranzo con lui. Dopo non molto tempo si erano sposati. Non aveva perso però l’abitudine di andare al museo, anzi era diventata un’abitudine di coppia, lì nella Sala Bordone dove si erano conosciuti, davanti a “Uomo con la barba bianca”di Tintoretto. Quando la moglie era morta questo gli aveva permesso di andare avanti: «è dagli antichi maestri che io devo andare per poter continuare ad esistere, proprio da quei cosiddetti antichi maestri che a dire il vero detesto da tempo, da decenni, quale che sia il loro nome, in qualunque modo abbiano dipinto, pur essendo loro, gli antichi maestri che mi tengono in vita».

Quando il protagonista afferma che la pittura è un misero tentativo di imitare la natura, si va a ritroso nelle diverse concezioni di fare arte e le pagine di Leonardo sembrano allinearsi su questa idea. Quel concetto di percezione visiva dell’opera d’arte, dove è l’occhio il protagonista indiscusso e la vista il senso che poi coinvolge gli altri, è lo stesso che guida il pittore nel dipingere una bellezza umana, questa rimarrà intatta nel tempo e l’occhio «piglia il vero piacere di tal bellezza dipinta, qual sì facessi della bellezza viva».

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