“La ragazza con l’orecchino di perla”

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di Caterina Fidelbo

«È giorno, una luce candida entra dalla finestra, mi siedo su una poltrona rossa, di velluto, lui era già in piedi di fronte alla tela. Mi guarda, il mare dei suoi occhi si mescola alla perfezione con i miei; avevo la bocca chiusa, in quel momento le mie labbra si aprono delicatamente, le inumidisco con la lingua. Ecco, mi stava guardando con aria compiaciuta. Mi disse di non chiudere più la bocca, ero perfetta per i suoi occhi. Mano e pennello erano un tutt’uno, iniziò con i primi colori, era così bello mentre muoveva la testa da un lato all’altro, la sua fronte ogni tanto si riempiva di rughe, lì capivo che c’era qualcosa che non andava. Le ore passavano e io ero sempre più concentrata su di lui, non riuscivo a tenere a bada i miei pensieri, credo che li sentisse anche lui. Io una domestica, lui un illustre pittore. Mi ha scelto nonostante il mio status sociale. Incredibile che abbia scelto proprio me. Lui avrebbe potuto scegliere tra mille ma nessuna avrebbe potuto incarnare il personaggio con la stessa naturalezza, con la stessa passione del tutto mossa dalla situazione e di certo non creata in modo artificioso. Si percepisce un’aria insolita, una sorta d’amore platonico, nessuno mai aveva osato dichiararsi eppure in quell’atelier si respirava olio di lino e passione.

Odori inconfondibili, riconoscibili tra mille altri odori, gli odori dell’arte e dell’amore. Si mescolano sempre alla perfezione”.

La ragazza con l’orecchino di perla, insieme alla Gioconda di Leonardo da Vinci, è senza dubbio una delle opere d’arte più note e amate in tutto il mondo.

Si tratta di un dipinto olio su tela, databile intorno al 1665-1666, di piccole dimensioni (44,5x39cm), ma di grande fascino. L’ingenuo volto della giovane è ritratto di tre quarti, nell’attimo preciso in cui si gira verso l’artista e lo guarda con profonda intensità. Risaltano subito all’occhio la lucentezza della perla e i colori degli abiti su sfondo scuro. Il magnetismo che conquista lo spettatore è dato da una serie di elementi: il turbante e la perla, il fascino esotico, una fanciulla dallo sguardo innocente e al tempo stesso ammaliante e impenetrabile. Infine, le labbra lucide e semi aperte che le danno una carica di candida meraviglia, ma anche una vena di accattivante erotismo.

Non si sa con certezza chi fosse in realtà la ragazza. C’è chi attribuisce il giovane volto alla figlia del pittore e chi invece, come la scrittrice Chevalier, alla serva di casa. Questo enigmatico velo di dubbio, che nasconde la sconosciuta, ha fatto sì che Tracy Chevalier ne scrivesse un romanzo dove la protagonista del dipinto è la piccola domestica al servizio dei Vermeer.

Certo è che di fronte al quadro si è portati a sognare e a credere che la storia raccontata nel libro sia vera e che, quindi, dietro quello sguardo innocente ci sia la giovane domestica di casa Vermeer.

Ci troviamo a Delft, XVII secolo, in una casa protestante della città. Griet, la giovane figlia di uno dei decoratori di piastrelle più rinomati della città è in cucina a svolgere i suoi compiti usuali quando all’improvviso sente voci che suggeriscono «immagini di tappeti preziosi, libri, perle e pellicce». Sull’uscio, compaiono improvvisamente due figure: un uomo dagli occhi grigi come il mare e un’espressione ferma sul volto lungo e spigoloso e una donna, piccoli ricci biondi, sguardo che guizza qua e là nervosamente. Sono Johannes Vermeer, il celebre pittore, e sua moglie Katharina, gente ricca e influente, proveniente da vicino, dal Quartiere dei Papisti, eppure lontanissimo da Griet e dal suo mondo. Griet ha solo sedici anni e quel giorno apprende dalla voce della madre il suo destino: andrà al servizio dei Vermeer per svolgere le attività di domestica nell’atelier del pittore, dovrà agire delicatamente senza spostare né urtare nulla.

Nella casa dei Vermeer, tra l’artista e la serva, che non possiede altro che il suo incanto e la sua innocenza, si stabilisce un’intensa relazione fatta di sguardi, sospiri, frasi dette e non dette. Griet, infatti, non cesserà per un solo istante di ubbidire all’amore per l’arte e alla passione che la muove. Gesto inaudito per la morale del secolo, poserà a labbra sensualmente dischiuse per il ritratto che è giunto fino a noi e non cessa di stupirci per l’enigmaticità dello sguardo catturato. 

L’unico rammarico di Griet è non aver mai saputo se il suo padrone l’avesse amata par suo o se fosse stata per lui un interesse puramente professionale. La risposta arriverà, del tutto inattesa, quando ormai aveva smesso di chiederselo. Dieci anni dopo, infatti, invitata a casa dei suoi vecchi padroni, trova l’esecutore testamentario che, in accordo alle ultime volontà di Vermeer, le farà consegnare dalla moglie del defunto pittore proprio gli orecchini di perla.

Affascinante è la descrizione di un amore platonico tra due persone che non possono instaurare un legame più intimo di quello lavorativo. L’arte e l’amore, inoltre, vanno di pari passo. L’amore per le arti può far scaturire emozioni e sensazioni indescrivibili. La giovane Griet apprende dal maestro come preparare e macinare colori, lui la trascina in un mondo apparentemente distante da lei.

L’atelier di Vermeer era un posto intimo dove nascevano dei capolavori di inestimabile valore e Griet riesce ad entrarvi conquistando il cuore dell’artista con la sua purezza. Una storia di passione inespressa che ci lascia senza fiato, sconcertati da tanta bravura.

Quello sguardo, quella luce, quell’orecchino, quelle labbra. Vermeer doveva amare davvero tanto la sua musa. Osservando il dipinto, le labbra dischiuse ci portano a pensare alle tante cose che avrebbero voluto dire. Magari stavano per pronunciare “Ik hou van ie”, in olandese, “ti amo”. Oppure erano in attesa di un bacio o una parola di conforto. Nessuno potrà mai saperlo, ma la bellezza e l’enigmaticità stanno proprio nel dubbio.

Occhi che parlano e labbra dischiuse, luce ed ombra, giallo e azzurro, sfondo nero. Vi è un lavoro di immaginazione dietro a questo dipinto, per cui potrei parlarne per ore. Il libro scritto da Tracy Chevalier ci fa immergere in usi e costumi seicenteschi e offre una chiave di lettura per risolvere l’enigma che dietro a questo dipinto.

C’era solo un cavalletto che separava i due. Lui guardava lei dall’alto e lei non distoglieva mai il suo sguardo dai suoi occhi grigi come il mare. C’era intesa, sentimento, passione, amore per le arti. C’era un mondo fantastico, dove le labbra semi aperte non erano un qualcosa di disdicevole, forse lui immaginava anche la sua chioma, nella mente la sua mano accarezzava dolcemente il viso angelico di quella dolce fanciulla e lei sospirava e lo guardava con occhi vitrei, algidi, ma pieni di passione.

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