“La Natura Esposta” di Erri de Luca

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di Camilla Salvi

La Natura Esposta è un libro polisensoriale.

Non si può leggere una sola parola senza avere la sensazione di sentire le polveri del marmo solleticarci e pungerci le narici o essere scossi da un brivido che ci disegna la schiena nella sua verticalità per la preoccupazione incessante per il protagonista, anziano artigiano scostante, ma allo stesso tempo dall’animo gentile, che accompagna i migranti stranieri da un confine all’altro per i passi di montagna. «Abitiamo in una terra di transiti. Qualcuno di loro potrebbe fermarsi, ma nessuno di quelli arrivati fino a qui hanno per bussola un indirizzo intasca. Per noi che non abbiamo viaggiato, loro sono il mondo venuto a farci visita». Attualissimo. Impossibile oggigiorno non identificarsi con l’artigiano, in un tempo in cui il problema delle migrazioni è nelle testate di tutti i giornali e in cui ci basta aprire la porta di casa per renderci conto di quanto non esistano più confini se non quelli della mente.

Per ironia della sorte, l’artigiano stesso si trova ad abbandonare la sua casa, come i migranti che accompagna sui monti. Costretto a trasferirsi in un piccolo paesino, gli viene affidato il restauro della statua della crocifissione di Cristo, al quale, dopo il Concilio di Trento, era stato aggiunto un panneggio per coprire la cosiddetta “natura esposta”. Da questo momento lo scultore sarà totalmente immerso nel suo lavoro, divenendo egli stesso scultura e passando un “tempo senza orario” che gli permetterà di creare un legame quasi carnale con la statua. È di questo che si tratta: un continuo climax ossimorico di termini, di sensazioni che investono solamente il linguaggio utilizzato da De Luca per stendere il romanzo, ma anche la poliedrica capacità di percezione del reale che è dentro ognuno di noi e che spesso, proprio a causa della società in cui viviamo, è atrofizzata. Giorno per giorno, proprio come in un rapporto amoroso, lo scultore scopre un dettaglio in più del Cristo, che lo sconvolge e gli corrisponde in ogni suo dettaglio. Come un cieco, si accorge che la sola vista non gli basta per avere una comprensione totale dell’opera a cui sta lavorando: «Questa è un’opera che si rivela solo alla carezza».

De Luca fa un’accurata analisi del concetto di percezione sensoriale vista come strumento di lettura della realtà, con particolare attenzione alla tattilità e al metodo utilizzato dall’artista rinascimentale per la particolare fruizione della sua opera. Il valore tattile di un corpo materico identificato come opera d’arte è un concetto già sviluppato nella critica d’arte di fine Ottocento da Bernard Berenson. Secondo lo storico dell’arte, i valori tattili sono dei veri e propri fattori intrinseci che permettono la stimolazione dell’immaginazione del fruitore che ne constata, tattilmente, il volume, la forma e la dimensione. L’immagine visuale, che ci aiuta sicuramente nella percezione globale ma poco minuziosa dell’opera, è una proiezione dei valori tattili che ci permettono di identificarci negli oggetti d’arte stessi, come avviene nello scultore protagonista del libro. Egli, infatti, codifica e usufruisce dei valori tattili del Cristo crocifisso per avviare il suo processo creativo della nuova “natura” e comincia a sentire l’opera come fosse lui stesso il soggetto della rappresentazione. Tale immedesimazione scaturisce una sorta di visione mistica in cui lo scultore è un tutt’uno con l’opera: «Eseguivi il lavoro con orgoglio e sei stato respinto. Devi eseguirlo in tremito». 

Lo scultore prende coscienza del suo ruolo e della sua responsabilità nei confronti della statua, rivive esperienze e conflitti che fanno parte del suo vissuto e che lo rendono al tempo stesso vittima ed esecutore di quanto gli sta davanti. L’arte diviene vita e si svincola da tutte le convenzioni precostituite. Dunque, possiamo immedesimarci senza fatica nello scultore di Erri De Luca proprio noi che, già dal 1921, abbiamo osservato Marinetti col suo Manifesto del Tattilismo, attraverso il quale ha contestato il primato della vista sull’arte creandone una tattile. In questo percorso dell’arte dal Rinascimento fino a quella dei giorni nostri, una silenziosa rivoluzione è stata fatta dalle persone non vedenti, le quali hanno dato un nuovo valore al mondo del percepire superando i limiti dell’estraneità verso l’arte multisensoriale. Questo nuovo tipo di arte poggia le sue fondamenta sul binomio visione-tattilità, che ha incoraggiato la produzione di opere immersive e coinvolgenti, spesso installazioni, per l’appunto multisensoriali.

Nessun senso prevale sull’altro, ognuno ha una specifica funzione e sinergicamente, in un moto unico, aiutano lo spettatore a fruire nel modo più completo l’opera d’arte. Ugualmente, lo scultore del romanzo vive il prodotto artistico, lo tocca, vi stabilisce un rapporto non solo emotivo ma anche fisico, intimo. Da questo momento, l’opera dello scultore verrà pensata e realizzata secondo sensazioni tattili, che amplieranno e svilupperanno la consapevolezza del pensiero simbolico e della costruzione mentale dell’immagine. L’osservazione del Cristo, da parte dello scultore, è talmente aderente che si rovescia nel suo quotidiano e accende in lui un desiderio sfrenato di capire, di sperimentare, tanto da richiedere al prete un dermatologo per la statua, come fosse una persona in carne e ossa; o ancora decide di farsi circoncidere per immedesimarsi nella condizione del Cristo stesso e sentirsi ancora più vicino a lui. La funzione tattile diviene quindi arricchimento alla percezione di tutti gli individui i quali, usufruendo sinergicamente dei sensi della vista e del tatto, possono avere una conoscenza approfondita e globale dell’opera. Inoltre, la tattilità non è limitata alle nostre mani ma si protende su tutta l’epidermide del corpo, ogni singola particella del nostro corpo è un ricettore di sensazioni e stimoli percettivi che l’ambiente circostante ci invia continuamente. Il tatto ingloba tutti gli organi di senso servendosi della cosiddetta sinestesia. De Luca, descrivendo gli stati d’animo del suo personaggio di fronte all’opera, supera le teorie estetiche di Herder che suddivideva i sensi e assegnava loro un particolare dominio artistico: vista, udito e tatto in corrispondenza a pittura, scultura e musica. In questo senso, lo scultore ha fatto tesoro di una formazione estetica, la medesima che utilizzano gli artisti contemporanei per intersecare le esperienze sensoriali e propriocettive le quali, affinando i processi di costruzione dell’immagine mentale, conducono il pubblico ad una corretta e globale fruizione dell’opera d’arte. Il libro di De Luca è l’espressione di un profondo bisogno della nostra generazione e della nostra società di abbattere tutti i tipi di barriere: sensoriali, mentali, culturali e anche spaziali. Come lo scultore, attraverso l’arte, adotta dinamiche relazionali che lo portano a confrontarsi con paesi, realtà e religioni diversi, allo stesso modo tutti noi dovremmo essere in grado di avere lo stesso rispetto e lo stesso fremito di fronte all’arte così come alla vita, dovremmo essere in grado di «avvicinare la natura alla sua congiunzione. Le due parti si attraggono da sole. Accostiamo. Uniamo. Fine».

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