«Sottomissione» di Michel Houellebecq

by Master Mant.uniroma2
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di Lucrezia Lucchetti

François è un professore alla Sorbonne, esperto di Huysmans. Vive un’esistenza molto piatta, senza troppi slanci emotivi. Ha scelto di dedicarsi alla carriera accademica, dopo l’impegnativa tesi di dottorato su Huysmans, che come scrive più volte, gli aveva occupato quasi sette anni di vita, ma ormai da anni non è più appassionato neanche più all’insegnamento. Tutto lo annoia e lo disgusta, anche i colleghi, come Steve; non riesce ad avere una relazione sentimentale stabile, solitamente ha dei flirt con le sue studentesse o con delle prostitute, vive in un appartamento della Chinatown di Parigi. E mentre è intento a consumare cibo etnico e alcool nel suo appartamento della Chinatown di Parigi, il modo fuori improvvisamente si capovolge. Le elezioni del 2022, alla fine del secondo mandato di François Hollande, vedono la vittoria di Mohammed Ben Abbes, e l’inizio di una specie di Sharia. 

La tediosa esistenza di François cambia da questo momento in avanti, proprio perché tutto il mondo intorno a sé piano piano si sgretola per lasciare posto ad un’altra spazialità geopolitica e culturale. L’Islam si impone, in maniera soft, attraverso la sostituzione e la conversione del suo intero apparato istituzionale e successivamente universitario; cambia il modo di mangiare, di stare per strada, per le donne cambia pure il modo di vestire. La maggior parte dei docenti come François sono costretti ad andarsene dalla facoltà poiché Ben Abbes si assicura che il suo partito controlli il Ministero dell’Istruzione e conduca una sorta di pulizia. 

Il giovane Godefroy Lempereur, giovane professore appena assunto alla Sorbona, facente parte del blocco identitario gli spiega qualcosa in più sullo scontro civile in Francia. Lui e François hanno un colloquio lungo e articolato nell’appartamento del giovane a Rue du Cardinal Mercier; l’arredo in perfetta sintonia con lo stile dell’edificio era “tappezzato di sete e velluti, il salotto pieno di sedie comode e tavolinetti con intarsi e madreperla; un enorme dipinto in stile pompier, probabilmente un Bouguereau autentico, troneggiava sopra un camino molto elaborato. Mi sedetti su un’ottomana foderata di reps verde bottiglia […]”. E ancora Houellebecq descrive così l’opera con le parole di François: “Il Bouguereau sopra il camino rappresentava cinque donne in un giardino – alcune in tunica bianca, altre pressochè nude – che circondavano un bambino nudo dai capelli ricci. Una delle donne nude si nascondeva i seni con le mani; l’altra non poteva stringeva un mazzo di fiori di campo. Aveva dei bei seni e l’artista li rendeva alla perfezione. Il dipinto aveva poco più di un secolo eppure mi sembrava antichissimo, la prima reazione era restare interdetti davanti a quell’oggetto incomprensibile. Lentamente, progressivamente, si poteva cercare di mettersi nei panni di uno di quei borghesi del XIX secolo, di uno di quei notabili in redingote per i quali era stato dipinto il quadro; si poteva come loro, avvertire il preludio di una pulsione erotica davanti a quelle nudità greche; ma era una risalita nel tempo laboriosa, difficile”.  

Nonostante cerchi il supporto costante di Huysmans, François nel corso di questa improvvisa trasformazione della società si sente perso. Ed è in questo caso che l’arte gli viene in soccorso. Quando il marito della collega Marie-Françoise, che aveva lavorato nei servizi segreti francesi, gli parla di Ben Abbes paragonandolo ad all’imperatore Augusto, conduce una digressione sulle civiltà romana e civiltà medievale considerandole forti ed esemplari. Cita così anche il santuario di Rocamadour:  “Deve andarci. È ad appena una ventina di chilometri da qui; deve assolutamente andarci. Sa, il pellegrinaggio a Rocamadour era uno dei più famosi della cristianità. Enrico Plantageneto, san Domenico, san Bernardo, san Luigi, Luigi XI, Filippo il Bello… sono venuti tutti a inginocchiarsi ai piedi della Vergine nera, tutti hanno salito, in ginocchio, le scale che portano al santuario, pregando umilmente per ottenere il perdono dei loro peccati. A Rocamadour potrà davvero rendersi conto di quanto la cristianità medievale fosse una grande civiltà”. 

La Vergine nera, davanti a cui si erano inginocchiati santi e re, “era una statua strana, che testimoniava un universo ormai del tutto scomparso. […] Era seduta in posizione eretta; il suo viso a occhi chiusi, così distante da sembrare extraterrestre, era incoronato da un diadema. Gesù bambino- i cui lineamenti, a dire il vero non erano affatto da bambino, piuttosto da adulto, addirittura da vecchio- era seduto sulle sue ginocchia, anche lui in posizione eretta; era anche lui a occhi chiusi, e il suo volto aguzzo, saggio e potente era anch’esso sormontato da una corona. Nel loro contegno non c’era nessuna tenerezza, nessun abbandono materno. […] Quella rappresentazione sovraumana era agli antipodi del Cristo torturato e sofferente che era stato raffigurato da Mathias Grünewald, e che aveva tanto colpito Huysmans”. Il Medioevo di Huysmans, dice il suo esperto nel libro, era quello del periodo gotico: patetico, realista e morale, era già vicino al Rinascimento, lontano dall’epoca romana. 

Inizialmente il tema di giudizio nel Medioevo era abbastanza assente. È solo più avanti con Hieronymus Bosch che comparvero quelle rappresentazioni terrificanti con Cristo che separa gli eletti dai dannati, in cui i diavoli trascinano i peccatori verso i peggiori supplizi. “Il giudizio morale, il giudizio individuale e l’individualità in sé non erano concetti chiaramente compresi dagli uomini dell’epoca romanica, e io stesso sentivo la mia individualità dissolversi, sul filo delle mie fantasticherie sempre più prolungate davanti alla Vergine di Rocamadour”. Esattamente come gli uomini del primo Medioevo, François non ricorda più dove sia finita la sua individualità, si sente perso, la sua identità si è alterata e non riesce a riconoscersi. “Ero in una strana condizione, la Vergine mi sembrava ascendere, librarsi dal suo piedistallo e ingigantirsi nell’aria, Gesù Bambino sembrava pronto a staccarsi da lei e avevo la sensazione che adesso gli sarebbe bastato alzare il braccio destro e i pagani e gli idolatri sarebbero stati distrutti, e le chiavi del mondo sarebbero state consegnate”. 

Mentre è seduto sulla panca della cappella di Notre-Dame, il professore riflette sulla statua della Vergine, racchiudendo in questa riflessione tutto il significato dell’arte. “Ben altro si rappresentava in quella statua severa, rispetto all’attaccamento a una patria, a una terra, alla celebrazione del coraggio virile del soldato; o anche al semplice desiderio infantile di una madre. Lì c’era qualcosa di misterioso, di sacerdotale, e di regale che Péguy non era in condizioni di capire, e ancor meno Huymans. L’indomani mattina […] tornai alla cappella di Notre-Dame in quel momento deserta. La Vergine aspettava nell’ombra, calma e immarcescibile. Possedeva la maestà, possedeva la forza, ma pian piano sentivo che perdevo il contatto, sentivo che lei si allontanavo nello spazio e nei secoli mentre io mi rannicchiavo nel mio banco, rattrappito e ristretto. Dopo mezz’ora, mi rialzai, definitivamente abbandonato dallo Spirito, ridotto al mio corpo danneggiato, deperibile, e ridiscesi tristemente gli scalini in direzione del parcheggio”. 

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